F amoso per i ritardi, ma anche imprevedibile, Claudio Martelli è insolitamente puntuale all'appuntamento sotto casa sua. Quando appare suona esattamente mezzogiorno. Indossa un giubbotto di pelle da gita in mongolfiera, ha inediti occhialetti, più che legittimi a 64 anni, e i soliti capelli corti ormai brizzolati.
«Bella casa», gli dico, indicando il palazzetto della Roma rinascimentale da cui è uscito.
«Sto traslocando. Perciò non ti ho fatto salire», dice, per niente allegro.
«Non vi eravate trasferiti da poco?», chiedo, riferendomi alla sua giovane terza moglie, e ai due figlioletti che ne ha avuto.
«Ci stiamo separando dopo otto anni. Neanche questa volta è andata. E non me l’aspettavo», dice cupo. È così amareggiato che mi passa la voglia di insistere. Non è più il Martelli farfallone che conoscevo.
Giriamo l'angolo e sediamo all’aperto al primo bar.
«Al telefono mi hai detto che in questo periodo fai la spola con Berlino», dico per cambiare discorso.
«Mi sono innamorato per caso della città a fine agosto. Ora ci vado ogni settimana, dal martedì al venerdì. Quando sono in crisi, reagisco così. Nel ’93, lasciato il Parlamento dopo Tangentopoli, ho fatto lo stesso con Londra».
«Cos'è per te Berlino?».
«Un incantevole miscuglio di tradizione e trasformazione. C’è più gioventù che nella media delle città europee. Appaga il mio spirito di ricerca».
«Che ci fai lì?».
«Vado a scuola di tedesco e ho allacciato relazioni intellettuali e politiche. Esattamente come quindici anni fa a Londra», e sorride al ricordo.
«Cosa ti fa sorridere?».
«A scuola, a Londra, eravamo una ventina. Tutti giovanissimi, io cinquantenne. L’insegnante ci chiese di esporre i nostri curricula. Quando fu il mio turno, dissi che ero laureato in Filosofia, avevo fatto politica, ero stato deputato, ministro, vicepresidente del Consiglio. “Basta, basta”, esclamò il prof. e aggiunse: “Lasci il banco e si sieda al mio fianco”». Martelli chiede al cameriere un portacenere e un decaffeinato e si accende una sigaretta. Con la paglia pendula sulle labbra e il giaccone da aviatore sembra in libera uscita da un romanzo di Liala.
«Di che vivi?», chiedo.
«Sono un pensionato della Camera, del Parlamento europeo e - essendo stato previdente - ho anche una pensione integrativa».
«Fai il giornalista e lavori in tv».
«Ho una rubrica su Oggi e ho appena concluso un ciclo radiofonico sulle mie esperienze politiche».
«Lavori bipartisan per Rai e Mediaset».
«In Rai, faccio fatica. Non ho padrini e sono ingombrante».
«Ce l'hanno ancora con te per quello che eri?».
«Da politico ho polemizzato duramente con Andreotti, De Mita, Berlinguer. Chi stimava costoro, non me lo perdona. A Mediaset è più semplice».
«Come Irene Pivetti: da politico a divo tv», dico.
«Un’inutile crudeltà, la tua. Hai visto Bisturi, lo show di Pivetti?».
«No».
«Ecco perché fai impunemente paragoni. Non c’entriamo niente. Lei ha avuto una vampata politica, ora ha una vampata in tv. Io politica l’ho fatta per 25 anni, dalla gavetta».
«Pigro come sei, come fai a fare il giornalista?».
«Dormo sette ore, come tutti. Mi alzo alle undici, perché vado a letto alle tre di notte. Così dall’età di 17 anni, per un colpo di sole mal curato».
«Un colpo di sole?».
«Mi addormentai in barca sul Lago di Varese. Al risveglio avevo le convulsioni. I medici mi dettero psicofarmaci in dosi sbagliate. Da allora, ho un’ansia di ingresso nel sonno. Mi devo spossare fino a notte inoltrata, poi dormo per sfinimento». In altri tempi l’avrei presa per la classica palla martelliana, destinata ad alimentare la sua leggenda. Ma Claudio, oggi, non sembra più il paravento di un tempo. È un uomo ammaccato che si è ricongiunto con l'età anagrafica.
Che impressione fa l'Italia da Berlino?
«Coincide con l'immondizia napoletana. La lunga incuria e l'incapacità di risolvere. A Berlino ci sono quattro multinazionali dei termovalorizzatori».
E allora?
«Il professor Prodi prenda l’aereo, stipuli un contratto e raddoppi gli impianti, invece di restare inerte, costringendo i militari alla raccolta».
Morale?
«Qual è la malattia di questo Paese? Solo a tratti ha un colpo di reni ed esce all’aria aperta».
L’ultimo colpo di reni?
«Gli anni ’80, quando Craxi intercettò gli umori del Paese che voleva cambiare».
Le tue impressioni sul caso Mastella?
«Il peggio della Prima repubblica: la voglio morto, faccio cadere la giunta, ecc. Nessun reato forse, ma uno spettacolo penoso. Penso al gelo che accolse il discorso di Craxi sulle tangenti e agli applausi universali ricevuti invece da Mastella».
Come spieghi la differenza?
«Un riflesso automatico di solidarietà della classe politica. Come se, fatta esperta dal passato, volesse arginare la magistratura».
La quale?
«Nel sud dimostra un protagonismo estremo. Si concentra su aspetti scabrosi, ma non tali da giustificare arresti. Si disperde su Berlusconi che raccomanda soubrette e dimentica la camorra».
Anche tu hai dovuto dimetterti da Guardasigilli 15 anni fa. Poi, fosti condannato a otto mesi.
«Ricordo con rabbia. Mi autodenunciai per difendere Cusani ingiustamente accusato. I soldi per il Psi me li aveva dati Carlo Sama di tasca sua. Non c’era concussione: al massimo un’ammenda. Di Pietro però fece di testa sua».
Il tuo giudizio su Mani pulite?
«La più colossale operazione di polizia giudiziaria di questo Paese. Trentamila inquisiti, tremila arresti concentrati sulla classe politica. Nulla di simile contro mafia e terrorismo. Con le intercettazioni, nate per combattere i killer, usate per incastrare un assessore».
Si dice che la magistratura ce l’ha con Berlusconi. Stavolta ha inguaiato Prodi.
«Mai creduto al complotto della magistratura. Il punto vero è che la maggioranza dei giudici è incapace. La preparazione è un caso, l’impreparazione la regola».
Hai tentato di reinserirti in politica senza riuscirci.
«Ho tentato di riunire i socialisti, non di reinserirmi. Nell’ex Psi c’era chi guardava a destra, chi a sinistra. Io insistevo per la terza forza. Mi diedero torto, ma ora ci riprovano. Auguri».
Tranquillizzaci: hai chiuso per sempre con la politica?
«Come attività, sì. Spero non disturbi se continuo a parlarne».
Quelli che contano sono gli stessi dei tuoi tempi: D'Alema, Veltroni, Fini, Casini, ecc.
«Sarebbe ora che anche loro lasciassero la scena. Li vedo consunti. Ci portano all’asfissia».
Tra il Cav e Prodi chi è il più capace?
«Purtroppo, sono i due più capaci. Ma solo a tenere insieme i propri. Che non è saper governare».
Dei due chi ha governato meglio?
«Berlusconi ha un bilancio in chiaroscuro. Prodi in nero».
Vedi un politico per il domani?
«Di due ho molta stima, anche se sono opposti: Giulio Tremonti a destra, Nichi Vendola a sinistra. Pensano autonomamente».
Chi è, secondo Martelli, il Martelli di oggi?
«Una volta pensavo Veltroni. Oggi ho molti dubbi. Ti faccio un esempio. Solo in Italia si doppiano i film. Un’assurdità. Ma Veltroni è un difensore cieco del doppiaggio. Vecchiume. Com’è decrepita la Roma che governa».
I redditi scendono, le tasse salgono.
«Colpa dei sindacati che non fanno il loro dovere. Tacciono sui redditi, ma si sbracciano per la pensione a 57 anni e il precariato giovanile. Io, prima di laurearmi, ho fatto mille mestieri».
Ogni giovane può farlo. Ci opprimono anche i costi dell’energia. Colpa tua che hai bloccato il nucleare col tuo sciagurato referendum.
«Mai sostenuto l’uscita dal nucleare. Volevo una moratoria per renderlo sicuro. Nulla impediva dopo qualche anno, e nulla impedisce oggi, di tornare al nucleare».
Pentito?
«Se avessi saputo che 21 anni dopo eravamo ancora fermi, non avrei mai sostenuto il referendum. Da noi, tutto diventa demagogia».
Spinellavi. Continui?
«Fumavo da giovane. Aspirando, a differenza di Clinton e senza orrore, a differenza di Fini».
Quale ministro del governo cacceresti all’istante?
«Pecoraro Scanio, tra i massimi responsabili del disastro campano».
Che avrebbe fatto il decisionista Craxi per la spazzatura bassoliniana?
«Commissariato la Regione. Che ci stanno a fare se non fanno nulla o addirittura si mettono di traverso come il sindaco di Napoli?».
I figli di Craxi sono su fronti opposti.
«Non dovevano dividersi. L'eredità di Craxi non era un gruzzolo da spartire, ma un patrimonio ideale da conservare».
Pensi mai a Craxi?
«Tantissimo. Soprattutto, alla tragedia finale. Gli hanno impedito di curarsi. Una sola volta sono tornato in Parlamento dopo esserne uscito. Due mesi prima che morisse per chiedere ai due presidenti del Parlamento, Violante e Mancino di dargli un salvacondotto per farsi operare a Parigi.
Conclusione?
«L’Italia sembra buona, ma è un Paese spietato».
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