Mastella vuol rubare Bossi al Polo «Se non viene con noi, scompare»

Apertura anche da Pannella. Insofferenza nel Carroccio per la linea morbida del leader. Che esce comunque vincitore dalla tornata congressuale

Adalberto Signore

da Roma

È quasi vuoto il ristorante del Senato quando Clemente Mastella si lancia in un paragone che ai più pare azzardato. «Io e Bossi siamo simili, abbiamo lo stesso fiuto politico, sappiamo annusare l’aria», dice il ministro della Giustizia. Che tra lo stupore dei commensali tende una mano al Senatùr. «Ha capito che la leadership di Berlusconi è compromessa e piuttosto che ritrovarsi a dover appoggiare un candidato premier come Casini preferirebbe il sottoscritto». Insomma, visto che Bossi sa bene che «con le larghe intese rischia di sparire», credo che «con la Lega sia possibile trovare delle convergenze sul federalismo come sulla legge elettorale». D’altra parte, ammette Mastella, «contatti ad alto livello già ci sono stati». E pure la sinistra radicale, spiega il Guardasigilli, alla fine accetterebbe. «Il corpaccione di Rifondazione comunista - dice ai commensali - vuole stare con il governo». Se il segretario dell’Udeur non ha timore di confidare la sua disponibilità a un’eventuale apertura al Carroccio, pure Marco Pannella non nasconde il suo interesse. «Trovo non vada sottovalutata - dice il leader dei Radicali - la previstissima posizione di Bossi. Siamo sempre stati federalisti e se le nuove forme di devolution fossero davvero limpide e con echi profondi del federalismo svizzero e di quello statunitense non ci sarebbe certo da opporvisi».
L’apertura di Bossi, per la prima volta possibilista con il governo nel caso arrivino «buoni messaggi» dal centrosinistra, dai ripetitori di TelePadania viene dunque raccolta con un certo interesse. I contatti, come dice Mastella, ci sono e ci sono stati. Vanno avanti dal giorno dopo il voto con Roberto Maroni, di fatto interlocutore «istituzionale» con il centrosinistra. Più volte il capogruppo alla Camera del Carroccio ha incontrato o sentito i vertici dei Ds, da Massimo D’Alema a Piero Fassino, da Pierluigi Bersani a Vannino Chiti. E proprio il ministro delle Riforme, ieri chiuso tutto il giorno nel suo ufficio di Montecitorio alle prese con la Finanziaria, non ha alcuna esitazione a confidare ai suoi collaboratori che «la Lega è un partito di gente per bene» e «il federalismo fiscale è una priorità» anche per il centrosinistra. Con Bossi pare ci sia stato già un contatto telefonico un mesetto fa. Ambasciatore dei Ds in Padania è invece Daniele Marantelli, deputato di Varese (culla storica del Carroccio) e da sempre in ottimi rapporti con Bossi, Maroni e Giancarlo Giorgetti.
Per ora, però, nel Carroccio regna la cautela. Anche perché - confida Maroni ai suoi - «se non c’è nulla di concreto sarà difficile convincere tutto il movimento». «Mi pare prematuro e comunque - dice Roberto Castelli - per decidere un cambio di linea simile serve un congresso Federale». L’eventualità, ammette il presidente dei senatori leghisti, «non è però di scuola». Anche perché, «se Prodi è destinato a cadere a breve come sembra», è chiaro che «salterebbe il banco e sarebbe da ridiscutere tutto». Sull’apertura di Bossi, poi, pesa anche una certa insofferenza di quasi tutto il gruppo dirigente per la linea troppo morbida del Senatùr. Che ha creato malumori per il «poco movimentismo» e per «l’eccessivo appiattimento su Berlusconi». Diversi gli episodi - dalle ultime riunioni di Arcore alle dispute sul referendum sulla legge elettorale e sulle assenze al Senato - in cui i colonnelli hanno provato ad alzare la voce e sono stati zittiti da Bossi, sempre più in sintonia con il Cavaliere. Così, qualcuno interpreta l’apertura al centrosinistra come una «concessione» ai più critici. Che potrebbe non avere seguito, visti i risultati dei congressi provinciali in Lombardia.
Se la poltrona di segretario della Lega Lombarda può infatti rappresentare una sorta di trampolino di lancio in un’eventuale corsa alla successione, va detto che le nomine della scorsa settimana hanno di fatto chiuso la partita. Nonostante la sconfitta di Giacomo Stucchi (indicato da Bossi) a Bergamo. La questione, infatti, è più complessa di quel che sembra e seppure Stucchi ha perso va detto che il neosegretario Cristian Invernizzi (che ha rifiutato di ritirarsi a tre giorni dalle elezioni) è stato sostenuto dalla corrente che fa capo a Giorgetti (che pare non abbia gradito la «ribellione»). Segreteria a parte, però, a Bergamo i delegati che parteciperanno all’elezione del nuovo segretario della Lega Lombarda il 14 gennaio sono in maggioranza «giorgettiani». Così come a Varese (dove ha vinto Rizzi), a Milano città (Salvini), in Brianza, a Crema e a Cremona. Insomma, il successore di Giorgetti lo deciderà lo stesso Giorgetti (anche se molti sono convinti che alla fine si ricandiderà).

E il segretario della Lega Lombarda, su questo ci sono pochi dubbi, resta uno dei fedelissimi di Bossi. Che alla fine, mal di pancia della dirigenza a parte e salvo sorprese impreviste, avrà ancora una volta l’ultima parola.

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