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Il matrimonio fa bene alla salute Divorziati e conviventi vivono meno

Studio inglese: «Il tasso di mortalità degli sposi è tre volte inferiore a quello dei single»

Altro che libertà di coppia, fuga dal «sì, è per sempre», addio alla famiglia. Il matrimonio fa bene alla salute, e non solo a quella dei coniugi. Le coppie sposate vivono più a lungo, sono meno esposte a malattie dei single o dei conviventi e questo benessere si protrae fino alla vecchiaia, quando divorziati, vedovi o conviventi rischiano di trascorrere momenti più difficili. E poi ci sono loro, i figli. Se nascono in una coppia di conviventi hanno risultati peggiori a scuola, abbandonano gli studi in anticipo e hanno probabilità più elevate di contrarre malattie gravi. Non lo dice l'ultimo spot sulla famiglia promosso dal governo inglese, lo dicono i numeri diffusi dall'Ons (Office for national statistics), il corrispondente britannico dell'Istat italiano, secondo cui, insomma, il matrimonio allunga la vita. Sulla base di dati raccolti in sei anni di attività, il tasso di mortalità fra gli uomini single al di sotto dei 34 anni è circa due volte e mezzo superiore a quello dei loro coetanei sposati. Così vedovi e divorziati al di sopra degli ottant'anni hanno un terzo di probabilità in più di morire dei loro amici che vivono ancora legati al fatidico «sì» promesso in gioventù. Tra gli adolescenti che vivono con genitori sposati, il 69 per cento dei ragazzi e il 78 per cento delle ragazze continua a frequentare la scuola all'età di 17 anni, contro il 59 per cento e il 69 per cento dei loro coetanei che vivono con un solo genitore (l'età dell'obbligo in Inghilterra, salvo le ultime promesse del premier Gordon Brown è fino ai 16 anni).
La coppia solida, tra l'altro, non produce benefici solo al suo interno, ma nella società tutta. Perché - spiega lo studio - i coniugi affiatati non solo si prendono cura l'uno dell'altro, non solo consentono una vita migliore ai propri figli, ma rappresentano una rete solida anche per i parenti tutti, con una forte propensione ad aiutare genitori anziani e suoceri in difficoltà. Il 16 per cento dei membri di una famiglia tradizionali trascorre, infatti, almeno un'ora la settimana coi parenti bisognosi, contro il 9 per cento dei componenti di una coppia di conviventi. «È la dimostrazione di un legame tra salute, benessere e vita familiare ancora molto forte», spiega Mike Murphy, professore di demografia alla London School of Economics e autore, fra gli altri, del rapporto. Numeri e statistiche faranno certamente contento il capo dell'opposizione inglese e leader dei conservatori David Cameron, che ha puntato la sua campagna elettorale in vista di elezioni anticipate, proprio sugli aiuti alle famiglie e alle coppie di neo-sposi, al contrario del premier che non ha promosso alcuna campagna per le coppie istituzionali.
Il rapporto dell'Istituto nazionale di Statistica inglese, tuttavia, evidenzia un altro fenomeno, ormai dilagante nel Regno Unito (e non solo): l'aumento esponenziale del numero delle convivenze. Entro i prossimi ventiquattro anni, cioè entro il 2031, (come già avvenuto negli Stati Uniti) le coppie di conviventi saranno maggioranza nel Paese, con un incremento del 250 per cento tra le persone fra i 45 e i 64 anni. Si tratta di una tendenza già delineatasi nei dieci anni passati, quando il numero dei fidanzati inglesi che vivono sotto lo stesso tetto è aumentato del 65 per cento, fino ad arrivare a quota due milioni e trecentomila mentre quello delle coppie sposate è diminuito del quattro per cento (poco più di dodici milioni).

Occhio alla salute, insomma.

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