Il mea culpa dell’ambientalista: «Verdi più dannosi del nucleare»

Per lo scienziato James Martin, ecologista pentito, nei reattori c’è la fonte di energia che salverà il pianeta: «Lo dobbiamo ammettere»

Lorenzo Amuso

da Londra

La proverbiale opposizione dei gruppi ecologisti all’energia nucleare è ormai «irrazionale e pericolosamente fuorviante». In una parola, anacronistica. Perché non tiene conto dei progressi della tecnologia, che ha migliorato la sicurezza delle centrali. Ma soprattutto perché trascura l’impatto parzialmente positivo che l’apertura al nucleare potrebbe avere sulla più grave emergenza ambientale, il surriscaldamento della Terra.
A pronunciare la severa critica, James Martin, uno degli studiosi più autorevoli in materia di scenari futuri, oltre che noto ambientalista. Sotto accusa la miopia di certi gruppi verdi ideologicamente ancorati a scenari non più attuali, incapaci di rivedere le proprie certezze pregiudiziali e distinguere le nuove priorità. Incapaci - denuncia Martin - di accettare che il cambiamento climatico sia la principale sfida che attende l’umanità nel prossimo secolo, da vincere con qualsiasi mezzo, anche il ricorso al nucleare.
La tesi di Martin - contenuta nel suo ultimo libro, The Meaning of 21st Century: A Vital Blueprint for Ensuring Our Future - riconosce la legittimità dell’originaria resistenza ecologista al nucleare. Ma sottolinea come l’ultima generazione di reattori non solo non rappresenti più una minaccia per l’ambiente, ma grazie alle sue ridotte emissioni di anidride carbonica sia da privilegiare rispetto ad altre fonti energetiche.
La critica dello scienziato, che di recente ha donato oltre 85 milioni di euro all’Università di Oxford per finanziare il James Martin Institute for Science and Civilisation, un dipartimento dedicato allo studio degli scenari futuri, è rivolta principalmente ad associazioni quali Greenpeace e Friends of the Earth, in grado di condizionare le politiche ambientali di intere nazioni. «Credo siano gruppi mal consigliati. Basta pensare a ciò che è successo in Sudafrica, dove ci sarebbe già un reattore nucleare modulare pebble bed, se non fosse stato per Greenpeace», accusa Martin. La «quarta generazione» di impianti nucleari - sostiene il fisico britannico - rappresenta un passo in avanti decisivo in termini di sicurezza e di efficienza energetica. Progetti avanzati di reattore nucleare a fissione, sviluppati in Sudafrica e Cina, sono da considerare parte di una possibile strategia globale per contrastare il surriscaldamento. Una soluzione ovviamente respinta dagli ambientalisti. «Se è vero che i nuovi reattori producono minori quantità di scorie - afferma Nathan Argent, portavoce di Greenpeace - rilasciano però maggiori volumi di rifiuti altamente radioattivi. E non esiste ancora un modo sicuro per lo smaltimento. Noi proponiamo il decentramento della produzione energetica, rendendola nel contempo più efficiente».
Ma l’emergenza «surriscaldamento ambientale» - sostiene Martin nel suo libro - non è l’unica che attende l’umanità nei prossimi cento anni.

Oltre alla sempre più cronica carenza di risorse idriche, destinate a provocare conflitti armati tra i paesi, lo scienziato denuncia la crescente perdita delle biodiversità, il terrorismo internazionale e le malattie, con il rischio di una pandemia influenzale e del virus dell’Hiv.
Scenari apocalittici a cui, involontariamente, contribuiscono i movimenti per la protezione dell’ambiente.

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