di Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica
Roma Clienti da «tosare» e clienti - ça va sans dire, privilegiati - da rimborsare? Forse no. Ma clienti «normali» rassegnati, e clienti eccellenti, pronti a far pressioni e a paventare ritorsioni per riavere i soldi, sì. Tra questi anche l’ex portavoce di Dario Franceschini Pier Domenico Martino, parlamentare Pd. A fare come primo esempio quel nome, raccontando a gip e pm la sua verità sull’allegra gestione dei «risparmi-vip», è stato Gianfranco Lande, il Madoff dei Parioli, l’uomo che avrebbe truffato un migliaio di clienti eccellenti, soprattutto nella Roma-bene. Nel suo primo interrogatorio, il 26 marzo scorso, Lande si difende e ricostruisce la storia del «sistema» di società Eim, che muovevano i soldi per politici, calciatori, imprenditori e volti noti di cinema e tv.
Spiega che tra 2008 e 2009, prima per la crisi poi per lo scudo fiscale, il giocattolo si era rotto sull’onda delle «richieste di rientro» dei capitali. E giura di essersi messo in moto per provare a salvare il salvabile, cercando di traghettare i clienti nell’altra società, la Egp («intermediario abilitato» anche per attivare gli scudi fiscali), che avrebbe dovuto «dare più chiarezza ai clienti», fino a quel momento gestiti da una struttura «estremamente informale». Ma quando i magistrati capitolini gli contestano l’esistenza di due tipologie di clienti, (quelli che «sarebbero stati rimborsati, e quelli tosati», sintetizza il gip), Lande quasi si indigna. «Diciamo che intanto non c’era l’intenzione di privilegiare dei clienti e di tosarne altri», spiega, sostenendo di aver solo tentato di mettere «una pezza a un pasticcio». Poi però riconosce che non tutti i clienti erano uguali: «Io ho avuto delle pressioni fortissime di tutti i tipi». Il pm spara: «Da chi?». Lande non si tira indietro. «Da una pluralità di soggetti, dalla semplice lamentela alla articolata descrizione di quelli che sarebbero stati i passi legali, mediatici o altro che avrebbero intrapreso nel caso non ci fosse stata soddisfazione pronta». L’elenco di chi batteva cassa annunciando contromisure «è sterminato», sospira Lande, che poi comincia: «Se vuole possiamo dire... l’onorevole Pier Domenico Martino, il quale mi ha detto “ma insomma, io nel caso non ci sia una soluzione felice della mia vicenda... - nonostante avesse già effettuato dei prelievi, e da quello che ricordo anche consistenti, nel corso del tempo - nei gruppi parlamentari ci sono molti ex magistrati, sicuramente dovranno costruire una formulazione di esposto-denuncia”».
Che Martino fosse tra i clienti di Lande era già noto, non così le «pressioni» che, stando al verbale del broker, il parlamentare del Pd avrebbe fatto. Martino, che non ha mai presentato denuncia per la presunta truffa, si era avvalso dello scudo fiscale. Quello che pure, pubblicamente, aveva osteggiato per assecondare la posizione del suo partito. Nessun tentativo di costrizione al rimborso viene messa a verbale per quanto riguarda un altro parlamentare del Pd finito nell’elenco del Madoff de noantri, Francesco Saverio Garofani. Ma di curioso c’è che per Lande quel cognome è una «famiglia sterminata», un «clan» di clienti storici: «Io parlavo prima di... forse era Lorenzo Garofani, che è stato forse il primo cliente. In questo momento, appartenenti al clan Garofani credo che ci siano 20-25 persone, perché sono i figli che hanno in parte investito per conto loro, in parte legati alla posizione del padre, le mogli, i colleghi d’ufficio...». Finora vip e meno vip sono solo le vittime di un maxiraggiro. Diverso il discorso per i conti «cifrati».
Lande ne parla nel secondo interrogatorio, il 6 aprile scorso, spiegando che preparando l’elenco dei clienti che hanno usufruito dello scudo, ha notato «una dozzina di soggetti che, in quanto codificati, stavo cercando di identificare». Nascosti, ovviamente, per motivi fiscali. E per dare un nome al gruppetto, ora, sono al lavoro anche le Fiamme gialle.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.