Poi, spiegheranno che la loro unica volontà è quella di fotografare lo stato d’animo del poliziotto, una specie di fermo immagine sulla rabbia dei celerini, uno spaccato sociologico nei sentimenti profondi delle forze dell’ordine.
Però, già guardando il sito Rai dedicato a Acab, la polveriera - il nuovo programma radiofonico con Pierfrancesco Favino e Carlo Bonini in onda tutti i giorni, a partire dal giorno 16, dal lunedì al venerdì alle 19,50, su Radiodue - un’idea è possibile farsela: la scritta ACAB, acronimo di «all cops are bastards», «tutti i poliziotti sono bastardi», è crivellata di colpi; sullo sfondo ci sono impronte digitali stilizzate; il link che rimanda al podcast, la possibilità di scaricare le puntate dal computer, è un paio di manette; il richiamo ai video collegati alla trasmissione è, a questo punto verrebbe da dire ovviamente, una telecamera da videosorveglianza. Insomma, tutto l’armamentario del presepe della Polizia cattiva. E anche il resto dell’iconografia è in tema: immagini di celerini in assetto antisommossa e manganelli che volano contro no global con il passamontagna.
A questo punto, ancor prima di aver ascoltato la prima puntata, la domanda è lecita: non è che la trasmissione di Radiodue sarà l’ennesima criminalizzazione delle forze dell’ordine? E, soprattutto, è giusto che tutto questo accada in Rai? Oltretutto - e qui siamo quasi a una prima assoluta - le puntate di Acab, la polveriera rischiano di essere una lunga cavalcata promozionale per il film con lo stesso titolo e tratto dallo stesso libro nelle sale dal 27 gennaio. E, anche in questo caso, il sito internet del film parla chiaro: sangue, violenza, scontri di piazza. Tutto legittimo, ci mancherebbe altro che invocare la censura per un film, ma pure stavolta tutto con la firma della tivù di Stato, visto che la coproduzione è di Rai Cinema.
A confermare che ci troviamo di fronte a uno spottone è proprio l’inedito tandem di conduttori. Pierfrancesco Favino, che è l’interprete principale del film, e Carlo Bonini, che è l’autore del romanzo che ha ispirato la pellicola. Proprio Favino ha già messo le mani avanti, spiegando che «né il film, né il libro vogliono giustificare la violenza, ma casomai mettere in evidenza qualcosa che è all’interno della nostra società e che si nasconde sotto varie forme». E ancora: «Io e Bonini cercheremo di indagare sull’odio e la violenza».
Ma proprio qui sta il punto. Il libro di Bonini, non privo di un certo fascino letterario e della volontà di entrare nella mentalità delle frange più dure ed esaltate della polizia - soprattutto quelle di estrema destra che si nascondono dietro i nickname e si sfogano sui blog appositi - ha «come parola chiave del testo, la password per aprire il libro, “odio”. Non funziona? Allora tentate “tanfo”». E non cito a caso, ma la recensione dedicata ad Acab da Gabriele Romagnoli su Repubblica, il giornale di cui Bonini è una delle firme di punta. Quindi, certo, non pregiudizialmente contraria.
E allora arriva il nocciolo del problema.
Persino al di là dell’opportunità di dedicare una striscia quotidiana all’accompagnamento di un’uscita cinematografica: un conto è un’ospitata in uno o più programmi, un conto è proprio un programma apposito, come si è fatto in passato con Vinicio Capossela per il suo disco, che però era molto più traducibile nella lingua della radio. Perfetta strategia di marketing, per il film. Ma anche per il linguaggio dell’etere?
Qui il rischio non è quello di dare voce, per l’ennesima volta dal G8 di Genova in poi, al racconto del poliziotto cattivo e represso, magari pure giustificandone in qualche modo la violenza e cercando di
comprenderla, ma il problema è che non si esce dall’endiadi «poliziotto violento». Che non è la media delle forze dell’ordine. E trasformare la devianza nella normalità è il peggior servizio che si può fare ai nostri agenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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