Melfi, i tre licenziati in fabbrica ma la Fiat non li fa lavorare

Entrati e usciti: la giornata di lavoro dei tre operai licenziati dalla Fiat e reintegrati dal giudice del lavoro di Melfi è durata un’ora e mezza. Il Lingotto non ha alcuna intenzione di tornare sulle proprie posizioni: sì allo stipendio, no al ritorno al posto di lavoro, anche per «evitare ulteriori occasioni di lite tra le parti in causa». E la sera stessa, la Fiom denuncia l’azienda per non aver rispettato la sentenza.
Così, Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli ieri hanno passato i tornelli che danno accesso allo stabilimento, scortati dall’avvocato della Fiom e dall’ufficiale giudiziario, ma sono stati immediatamente bloccati dai vigilantes che li hanno portati in ufficio.
Qui i responsabili del personale hanno spiegato che le linee di produzione, per loro, resteranno off limits: avranno a disposizione la «saletta sindacale» dove restare durante il turno di lavoro, in attesa del pronunciamento del giudice sul ricorso della casa automobilistica, il 6 ottobre. A quel punto, i tre operai sono usciti, lanciando un appello al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affinchè «il nostro diritto al lavoro venga rispettato. Verremo qua tutti i giorni - afferma Barozzino - fino a quando i giudici non metteranno la parola fine».
Come primo atto di protesta, la Fiom ha proclamato uno sciopero di due ore e promosso un corteo interno a cui hanno partecipato, secondo fonti sindacali, circa cento lavoratori. Ovviamente, non finisce qui, per le tute blu della Cgil. «La Fiat - dice Lina Grosso, legale della Fiom - continua a mantenere un atteggiamento antisindacale. Il provvedimento emesso dal giudice prevedeva il reintegro totale dei lavoratori negli stessi ruoli e nelle medesime postazioni che avevano prima della sospensione. Continueremo a portare avanti la nostra battaglia anche in sede legale». E annuncia due mosse: la prima è la richiesta al giudice del lavoro, Emilio Minio, di specificare i termini del reintegro disposto nella sentenza del 9 agosto; la seconda è una denuncia penale contro il Lingotto per non aver rispettato la sentenza stessa, presentata poche ore dopo ai carabinieri di Melfi. Le ragioni, le spiega lo stesso leader della Fiom-Cgil, Maurizio Landini: «Il Lingotto sta commettendo un reato, in quanto sta violando l’applicazione di leggi e sentenze nel nostro Paese». E chiama all’appello anche i «cugini» di Fim e Uilm: «I delegati Fiom hanno proposto che sia la Rsu di Melfi a chiedere l’avvio di assemblee retribuite per fare una riflessione comune su quanto avvenuto perchè l’atteggiamento di Fiat rischia di diventare un problema per tutto il sindacato, non solo per noi», in preparazione alla manifestazione prevista per il 16 ottobre a Roma sul contratto nazionale.
Ma il segretario della Cisl si appella piuttosto a Sergio Marchionne «perchè non cada nella trappola della Fiom che cerca di spostare l’attenzione dall’investimento, che è il vero problema, a una conflittualità fine a se stessa - dichiara Raffaele Bonanni - Credo che la Fiat facendo così sbagli: faccia un passo indietro, applicando la sentenza del giudice e lo faccia subito, non alimentando la confusione che è quello che vuole la Fiom».


Da Torino, la Fiat replica con una nota che non lascia spazio a dubbi: secondo l’azienda non solo i licenziamenti dei tre operai sono legittimi ma l’udienza del 6 ottobre stabilirà che la posizione della Fiat è giusta perchè vi sono stati «comportamenti di estrema gravità», con un «volontario e prolungato illegittimo blocco della produzione, e non esercizio del diritto di sciopero».

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