Quando ci sono di mezzo i bambini, si guardano i fatti con occhi condiscendenti o con un senso di pietà qualora il caso sia grave. Però, dietro all’innocenza infantile, si dimentica che ci sono i grandi, i genitori, che dovrebbero essere responsabili e consapevoli. A chi ha seguito la vicenda del comune di Adro, quella in cui alcuni piccoli studenti sono stati esclusi dalla mensa perché i genitori non pagavano il buono pasto, veniva immediata e spontanea la voglia di parteggiare per i bambini. «Ma come… non si dà da mangiare a quei poveretti! È disumano». Proprio così, ma con un particolare non trascurabile, e cioè che i pasti costano e che al loro pagamento devono provvedere i genitori, perché la mensa scolastica non è un’opera di beneficenza.
Naturalmente non poteva non aprirsi il secondo capitolo di una storia simile a quella di Adro.
Siamo a Verona, e anche qui c’è chi non intende pagare né i buoni pasto né i buoni per il trasporto sullo scuola-bus. A Verona si è presa una decisione più generosa rispetto ad Adro: si è stabilito che la mensa degli alunni rientra nella categoria dei servizi essenziali, e così il Comune ha pagato anche per chi non aveva comperato i ticket. Per essere chiari, «il Comune paga» significa che l’esborso tocca ai contribuenti, cioè ai cittadini veronesi. Invece, per quanto riguarda il trasporto degli alunni, considerato un servizio non essenziale, chi non ha comprato i biglietti non viaggia. Così, qualche bambino è rimasto sul marciapiede e non è stato portato a destinazione dallo scuola-bus. In tutto sono 16 le famiglie alle quali è stato intimato lo stop, ma solo a un paio di alunni è capitato di restare davvero a piedi.
Certo, vedere (o soltanto pensare) i bambini lasciati per strada, magari salutati dalle manine dei loro compagni, che si agitano sul bus, fa tenerezza e può indubbiamente suscitare un moto di stizza… ma verso chi? Verso il crudele gestore del servizio scuola-bus e dell’amministrazione scolastica, o verso i genitori morosi?
Ovvio che, ascoltando chi non ha pagato, si odano litanie sulla mancanza di soldi, sul caro-biglietti, sulle difficoltà di gestire una famiglia numerosa… Se sono sinceri, i lamenti possono anche raccogliere la nostra solidarietà, ma poi bisogna capire come realmente funzionano le cose.
La scuola è gratis per tutti, il trasporto da casa a scuola dell’alunno costa una modica cifra. Non la si ha? Si va a piedi o con i mezzi pubblici. E invece i genitori pretendono e si sentono esclusi da un diritto se i loro bambini non vengono trasportati dallo scuola-bus, pur non avendo pagato il biglietto. Pretendono e si scatenano contro l’amministrazione pubblica che li maltratta e li offende, lasciando a piedi i loro figli.
Questi genitori sono identici a quelli che qualche tempo fa avevano fatto marciare i loro bambini in una manifestazione contro il ministro della Pubblica Istruzione Gelmini. La strumentalizzazione dei piccoli, perché a loro, appunto, si guarda con amore e indulgenza, è letteralmente indecente. Si usano i bambini come un paravento delle ipocrisie e delle furbizie dei grandi.
Ci sono diversi modi per ottenere dei sussidi che permettano di affrontare situazioni d’indigenza. Ciò che è riprovevole è la furbizia e l’arroganza con cui si eludono le regole della convivenza civile, che chiedono il rispetto e la realtà di tutti, non dei più fessi. La vera differenza sociale è quella tra chi fa sacrifici per dare ai propri figli qualche opportunità o qualche comodità in più, come il trasporto con lo scuola bus, e chi invece crede che tutto gli sia dovuto, e a un sacrosanto rifiuto delle sue pretese, mette avanti i bambini come fossero lo scudo umano alle sue ipocrisie e falsità.
La prima e decisiva educazione è sempre quella che viene dalla famiglia: il danno a un bambino non trasportato dallo scuola-bus è irrilevante; molto più grave è il danno educativo provocato nelle loro piccole teste da genitori furbi e arroganti, privi del più elementare senso civico.
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