Meocci bacchetta la Venier: «Inopportuna su Melissa P.»

Meocci bacchetta la Venier: «Inopportuna su Melissa P.»

Paolo Giordano

da Milano

Ora anche la bacchettata a Mara Venier. E dire che pensavano fosse stato nominato per caso: invece, lemme lemme, Alfredo Meocci segue giorno dopo giorno la sua rotta ben precisa, quella della Rai vecchio stile, giustamente in linea con lo zoccolo durissimo di telespettatori (tra l’altro anagraficamente non giovane). Più aziendalista e meno manager del predecessore Flavio Cattaneo, si riassume nello slogan che non manca di ripetere ogni volta: «Dopo aver guardato la tivù, alla sera la gente deve andare a dormire serena».
E così ecco il grido d’allarme sul possibile buco da ottanta milioni di euro (lo lanciò al Prix Italia di settembre). E l’invito a tornare in Rai (ripetuto anche l’altra sera da Vespa) a Mike Bongiorno, che è proprio il simbolo, quasi il fondatore della tivù paternalistica, rassicurante e professionalmente inattaccabile. Perciò ieri, quando ha espresso «disappunto e contrarietà» per l’intervista a Domenica in di Mara Venier a Francesca Neri sul contestatissimo film Melissa P., i suoi toni ricordavano quelli di Bernabei o Agnes, storici direttori generali.
«Non posso non rilevare - ha scritto in una lettera alla Venier e ai responsabili del programma - che la trattazione di un argomento così delicato e particolare che trae spunto, peraltro, da un film vietato ai minori di 14 anni, è avvenuta in una collocazione oraria del tutto inopportuna e destinata tradizionalmente al pubblico delle famiglie, anche in coincidenza della Giornata dedicata alla protezione dei diritti dei minori e alla tutela dell’infanzia». Insomma, una nota sul registro alla maniera dei vecchi maestri di scuola. E proprio come gli studentelli, Mara Venier lunedì si era subito giustificata (per la verità dopo l’attacco di Bonatesta della commissione vigilanza) spiegando che la sua intervista con Francesca Neri era stata, in realtà, «una chiacchierata a tutto tondo, su argomenti vari, dal marito a Celentano» e che quindi del film «si era parlato pochissimo e senza toni scabrosi». È anche vero che bisogna però chiarire quali siano i termini di paragone per la scabrosità, se sono in poche parole gli argomenti della maggior parte dei reality show oppure quelli tradizionalmente trattati nei contenitori domenicali di Raiuno.
Alla fine, Meocci ha scelto la seconda.
E proprio nel giorno in cui si è riunito il consiglio d’amministrazione Rai, che tra gli altri problemi ha affrontato anche il caso Varriale a Quelli che il calcio, il direttore generale ha dato un altro segnale di quella che dovrebbe essere la tivù di Stato finché lui rimarrà al settimo piano di viale Mazzini.

E così, in poco più di tre mesi, Meocci si è trasferito su di un altro piano che, per scomodare gli inglesi, è quello del vintage understatement, delle dichiarazioni attenuate secondo lo stile dei tempi passati. Alla vigilia di una delle campagne elettorali televisivamente più feroci che si ricordino, è forse il segnale giusto.

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