Il meridionale è piagnone ma non batte cassa solo lui

Sparare sul Mezzogiorno e sulla sua scarsa capacità di reagi­re autonomamente alle sciagure e ai disastri è come tirare sulla Croce rossa e le pallottole non mancano mai. Spesso il Sud si pre­senta davanti alla sventura con le braccia abbassate e la bocca gon­fia soltanto di imprecazioni. É ve­ro in altre aree del Paese – vedi il Nord Est - la gente si rimbocca le maniche e precede l’intervento pubblico. Tutto vero, ma la diffe­renza non è né razziale, né antro­p­ologica è frutto di una storia con­troversa e difficile. Nell’Ottocen­to tutto il Sud fu interessato da un grandioso e spaventoso disastro ecologico, con paesi che smotta­vano, con pianure e cimose co­stiere che si impaludavano a cau­sa del disboscamento che non tratteneva più le acque e faceva dilavare le cime dei monti. In verità, il Sud si impoverì allo­ra e non ci fu nessuno Stato che provvedesse e soccorresse le po­polazioni. Il primo dramma s’era compiuto nel terremoto del 1783 e del resto quando Reggio e Messi­na furono colpite dallo spavento­so maremoto del 1908 i primi soc­corsi giunsero alle popolazioni dalle navi delle marine straniere. Lo Stato era lontano, troppo lontano. Che brutta cosa la perce­zione cattiva della Storia il consi­derare la vita delle istituzioni co­me qualcosa di diverso e lontano dalla vita della gente. Non vuole essere una giustificazione, piutto­sto uno stimolo alle tante classi di­rigenti che nel Mezzogiorno sono succedute senza comprenderne a fondo il dramma. La colpa principale sta in loro, che hanno scambiato la certezza del diritto e la dignità dello Stato con il permesso di violare, di po­co o di molto, le regole. Nel Sud si transige e l’hanno tollerato so­prattutto le dirigenze politica­mente corrette, cioè orientate a si­nistra. Basta guardare le statisti­che delle costruzioni abusive, del­l­o scempio che è stato fatto del ter­ritorio e del paesaggio. Basta po­co, oggi, a inventarsi ecologisti, re­stano decenni di scempi. Sempre secondo la vecchia regola, lo Sta­to non dava lo Stato non chiede­va. Io vorrei che tutta la Campania fosse recintata da un muro, dal quale nemmeno un cartoccio di patate potesse passare. Ognuno deve fare per sé: con chi se la pren­derebbero gli ambientalisti im­provvisati di Terzigno? Siamo per le autonomie e per e libertà, ma il concetto di libertà non può essere insozzato tutti de­vono fare la loro parte. I campani che protestano e i veneti che si ti­ran sù se maniche, tutti italiani, pur con qualche differenza di di­dattica.

Anche perché in questo Paese un po’ sbracato tutti, allafi­ne , presentano il conto alla carta a noi contribuenti che da decenni paghiamo senza avere piena con­sapevolezza dell’obbligo. I meridionali sbraitano e pian­gono ( chiagne e fotte) i settentrio­nali faticano, ma alla fine tutti pre­sentano il conto allo Stato. Il Vene­to pensa a un miliardo, che non è un’espressione retorica.

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