«Metto la casacca Carioca e poi suono con Veloso»

«Metto la casacca Carioca e poi suono con Veloso»

da Milano

Uno che rilegge Mozart con la voce recitante di David Riondino, che si diverte a cazzeggiare in tv con Renzo Arbore, stasera eseguirà Gershwin con l’Orchestra di Santa Cecilia, poi ritorna alle radici jazz mettendo nello stesso cd Prokofiev e il ragtime (intanto suona col suo gruppo, con Enrico Rava, vola in testa alle classifiche jazz con dischi come I visionari, scrive un libro e fa altre mille cose)o è un pazzo incosciente o un genio. Stefano Bollani - a suo dire e secondo chi lo conosce bene - è un po’ entrambe le cose con un forte sbilanciamento verso la seconda. «Sono trasversale nell’arte e nella vita. Del resto da bambino sognavo di fare l’attore, il giocoliere, l’entertainer o il musicista: così da grande ho fatto la sintesi».
Una sintesi che è una continua sfida a se stesso, ai propri limiti; così questa volta Bollani si tuffa sul repertorio brasileiro pubblicando l’album Carioca, dilatando in chiave jazz e con il tocco del suo inimitabile humor brani di Chico Buarque e di grandi autori (da noi meno noti) come Pixinguinha, Edu Lobo, Ismael Silva, Nelson Cavaquinho. Colore e ritmo, fantasia e divertimento, intimismo e gioia di vivere si sposano nelle riletture di Valsa brasileira, Luz negra, Tico tico no fubà e negli inediti Na baixa do sapateiro, Trem das onze, Apanhei-te Cavaquinho. «Amo da sempre la musica brasiliana ma finora non ho avuto il coraggio di affrontarla. Non mi piace imitare lo stile e la cultura altrui. Devo prima approfondirne la conoscenza. Così l’anno scorso sono andato per la prima volta a Rio, a trovare il mio amico Alberto Riva, e lì è nata l’idea di incidere con musicisti locali come Jorge Helder, Armando Marçal, Jurim Moreira, Zé Renato. S’è creata subito un’atmosfera magica, anche perché abbiamo scelto pezzi non banali di samba e choro, che è un misto di samba e bossa nato negli anni Venti». Bollani ha perso la testa per il Brasile. «Lì si respira la musica, che è parte integrante della vita. È vero, c’è tanta povertà, tanto disagio sociale ma la forza della musica aiuta a superare tutto». Un amore ricambiato, visto che affiancherà Caetano Veloso in alcuni concerti italiani (il 12 luglio, data di apertura del tour di Bollani a Umbria Jazz, e il 15 a Cagliari al Rocce Rosse Blues Festival). «Io e Caetano ci conosciamo da molti anni; è un artista molto riservato ma von un gran senso dell’umorismo. Sto lavorandolo ai fianchi per incidere qualcosa insieme. Vorrei che il mio prossimo disco fosse in coppia con lui, sarebbe fantastico. Intanto cominciamo a vedere come saranno i duetti dal vivo».
Visto che è un giocherellone, Bollani avrebbe voluto intitolare l’album Tu vuo’ fà il brasiliano, in omaggio tra l’altro al suo maestro Carosone. «Ero un fan del jazz e di Carosone. A 11 anni gli scrissi una lettera e lui mi rispose: “Se vuoi studiare il blues e il jazz ascolta Charlie Parker”, da allora la mia strada è stata segnata». Nota dopo nota, improvvisazione dopo improvvisazione è diventato un punto di riferimento per il moderno pianismo jazz. «È il migliore in assoluto - dice di lui Enrico Rava - non oso immaginare cosa sarebbe se non buttasse tante energie nel fare l’entertainer». Ma Bollani si schermisce e risponde all’amico-maestro: «Comincio a chiedermi anch’io come sarei, è che non riesco a fare a meno di divertirmi, di scherzare. Difendo il mio lato ludico, alla Louis Armstrong o alla Dizzy Gillespie». Eh già, per quanto si sia moderni e proiettati nel futuro, i riferimenti stilistici sono obbligati. Provate a chiedere a Bollani chi sono i suoi maestri. «Mi identifico con i grandi pianisti che vanno dagli anni Venti ai Quaranta. Da Earl Hines a Ellington, e poi mi affascina l’atmosfera in cui vissero gli eroi del be bop. Certo era una vita pericolosa, a contatto con la droga, ma sarei disposto a correre il rischio per tornare a quei tempi».
Però Bollani non è certo un nostalgico. «Sognare è un sottile piacere, ma io guardo sempre avanti.

Mi esalto nel confronto con altri artisti. Il jazz è ancora la musica del futuro, perché vive di immaginazione e di improvvisazione. Per questo l’1 agosto suonerò alla Fenice di Venezia con un cantante fuori dagli schemi come Bobby McFerrin».

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