da Roma
Due trofei divisi per due, come è giusto e sacrosanto che sia. Inter e Roma comandano il calcio italiano da anni: non c’è una grande distanza tra l’armata morattiana e l’esercito giallorosso. La dimostrazione arriva dall’ultimo atto, dalla finale di coppa Italia, bella e vibrante fino in fondo. L’Inter, col tricolore sul petto, deve arrendersi alla Roma spavalda che raggiunge la Juve nella collezione di coppa Italia (sono nove, ricordate da una maglia celebrativa). Giusto così. I campioni d’Italia, senza Materazzi e Cruz squalificati, con Ibrahimovic fermo ai box, ricevono alla fine l’omaggio dei romanisti. Forse è il modo per cancellare veleni e polemiche. La Roma si guadagna la serata d’onore con una prova eccellente: non ha Totti (che però va a ritirare la coppa da Napolitano) e nessuno se ne accorge, grazie a quel Perrotta e a Pizarro e a Mexes. L’Inter prova un disperato inseguimento ma si arrende senza farne una tragedia. Ha già di cosa consolarsi.
Fischi all’Inter che coprono anche l’inno di Mameli, fischi persino al presidente della Repubblica Napolitano (il coro romanista “odio Napoli”) applaudito dal resto dello stadio, lo spicchio nerazzurro sigillato dal cordone di polizia. Non siamo dalle parti di una discarica nel Napoletano, ma all’Olimpico per celebrare la finale secca di coppa Italia tra la nuova razza padrona del calcio italiano, Inter già campione e la Roma splendida seconda. Mancini disegna il solito schema anti-Spalletti (4-1-4-1) nella convinzione che possa funzionare come in campionato quando riuscì a infliggere un rotondo e perentorio 4 a 1 sulla schiena dei romanisti (rimasti in dieci). Balotelli non trova spunti a destra ma tiene inchiodato Tonetto al binario, funziona meglio la coppia di sinistra (Maxwell-Cesar), collaudata nell’intesa e capace di apparecchiare una serie di giocate efficaci (a metà della prima frazione il sinistro del primo impegna Doni), Stankovic arranca per un tempo mentre Vieira emerge a stento: così l’Inter vive di spunti isolati, oppure di assalti su calci piazzati abbandonando Suazo a un triste destino di attaccante isolato.
La Roma è quella di sempre, con qualche aggiustamento (Perrotta a sinistra al posto di Mancini, Giuly imbottigliato a destra da Maxwell) che tradisce le scarse provviste della rosa, ma è il copione che valorizza l’orchestra. Che si guadagna il varco utile sul solito calcio d’angolo, una specie di tesoro per Spalletti, capace di valorizzare ogni palla ferma: la traiettoria di Pizarro esalta il destro volante di Mexes mentre Zanetti, custode del primo palo, sembra quasi che si accucci invece che saltare per deviare il proiettile.
L’Inter, secondo tradizione, ha bisogno di vedere il fondo della sfida prima di riemergere a livello del mare. Tira fuori gli artigli infatti dopo il 2 a 0 firmato dal migliore della Roma, Perrotta, a seguito di un contropiede decollato da una leggera collisione Cassetti-Cesar: la combinazione Vucinic-Perrotta trafigge Toldo ma la protesta interista è veemente, Morganti la tiene a bada con carattere. Rialzare la testa, a quel punto, per l’Inter è un dovere più che una necessità. Mancini lo prepara correggendo il disegno tattico troppo remissivo per risultare offensivo al punto giusto. Il primo a dare la scossa è un ragazzo della panchina arrivato dopo l’intervallo, rimpiazzo dell’impalpabile Stankovic (se non è guarito perché farlo giocare al 30%?): Pelè esplode un destro da 30 metri che strega tutti, compreso Doni, il portiere. Burdisso, di testa, più tardi, sembra completare la rimonta centrando il palo. La Roma barcolla e Spalletti corre ai ripari con una serie di ritocchi indispensabili a irrobustire la trincea difensiva: c’è bisogno sia di Brighi sia di Cicinho. La sfida, serafica fino a questa curva, diventa elettrica, più di uno i colpi proibiti (Vieira su Pizarro, Pelè sul medesimo): l’arbitro deve fare ricorso a una striscia di gialli e mostrare la faccia truce per avere ragione di quel clima.
L’Inter sbuffa e spinge finchè ha un briciolo di energia da spendere: lo fa con la mossa della disperazione, Crespo terzo attaccante di complemento, lanciato nella mischia durante il recupero (6 minuti) ma alla fine deve arrendersi, chinare la testa.
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