Mezzo governo in piazza contro il governo

Fabris (Udeur): «Prima di protestare dovrebbero dimettersi». Dini (Dl): «Il problema non si risolve con la bacchetta magica»

Gian Maria De Francesco

da Roma

La maggioranza assomiglia sempre più all’Uroboro, il serpente che si morde la coda. In Oriente esso è simbolo della continua rigenerazione della vita. Nei palazzi della politica romana rappresenta l’inclinazione autodistruttiva dell’Unione.
La manifestazione contro la precarietà del lavoro organizzata dai Cobas, in programma oggi a Roma, vedrà sinistra Ds, Prc, Pdci e Verdi con una decina di sottosegretari e numerosi parlamentari «mordere» l’azione dell’esecutivo da loro stessi composto e sostenuto. La maggioranza Ds, Margherita, Italia dei Valori e Udeur, invece, interpreteranno il ruolo degli imputati, colpevoli non solo di non aver rispettato il programma dell’Unione, ma anche di pericolose tentazioni riformiste filoindustriali. Chi prevarrà?
Il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, ha esternato la propria simpatia verso i manifestanti. «È un’occasione per riflettere. Chi governa la società è bene che si metta in ascolto, soprattutto dei cortei», ha detto ieri. Il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, pur precisando che oggi non sarà a Piazza Navona per evitare polemiche, ha ribadito che «il governo non ha ancora fatto abbastanza contro la precarietà». Poi, come tutti gli altri leader di Rifondazione, ha sottolineato che la manifestazione non è contro Prodi. Ma è significativo che la seconda forza di maggioranza dopo l’Ulivo scenda in piazza con 5 sottosegretari.
«Quando si governa, il rubinetto del conflitto non solo non deve essere chiuso, ma semmai va addirittura rafforzato», ha sostenuto il sottosegretario all’Economia, Paolo Cento (Verdi). Insomma, se i moderati parlano con Confindustria, secondo Cento, la sinistra di governo deve dar voce alla parte «antagonista» della società. E che non si tratti di semplice dialettica lo ha ammesso Marco Rizzo (Pdci), anche lui oggi in piazza. «Le ragioni di chi manifesta - ha detto - sono sacrosante».
A tutto questo va aggiunto l’appello contro la manovra sottoscritto dalla corrente del Prc «Sinistra critica» e da alcuni senatori tra i quali Franca Rame (Idv) e Fernando Rossi (Officina Comunista). Tra i firmatari anche la Fiom di Gianni Rinaldini e Giorgio Cremaschi, ormai sempre più divergenti dalla linea della Cgil di Epifani. Una spaccatura che ieri è stata criticata anche dall’Unità («oggi non si capisce contro chi si lotta»).
Dall’altra parte della barricata, questa volta, ci sono altri compagni. Come il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, che non ci sta a farsi prendere a schiaffi da Ferrero. «Non è vero - ha ribattuto - che il governo non ha fatto niente contro la precarietà, anzi ha fatto molto. Non mi sono mai permesso di chiedere cosa abbia fatto Ferrero sull’immigrazione: troppo facile polemizzare». Ma a Damiano, ieri a Venezia per un convegno, è toccato sentire i fischi dei no global che lo hanno contestato. Al convegno veneziano il segretario della Quercia, Piero Fassino, aveva invece inviato un messaggio nel quale si auspica un nuovo «patto per lo sviluppo, il lavoro e la competitività» dai toni molto montezemoliani.
Ma se al Botteghino si preferisce l’ecumenismo, il resto della maggioranza soffre. «Prima di andare a manifestare, dovrebbe dimettersi», ha rilevato Mauro Fabris (Udeur) stigmatizzando il comportamento del sottosegretario al Lavoro, Rosa Rinaldi (Prc).

«Non è detto che il centro del centrosinistra possa continuare a gestire questa tensione schizofrenica», ha concluso. Lamberto Dini (Dl) ha spiegato che «il problema non si risolve con un colpo di bacchetta magica». Le due anime della sinistra, quella di lotta e quella di governo, ormai non parlano più la stessa lingua.

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