«Mi sarei ammazzato se avessi saputo che i miei erano morti»

Il baby killer di Roma interrogato dai Pm. L’avvocato chiede la perizia psichiatrica

Alessia Marani

da Roma

«Se avessi saputo che i miei genitori erano morti, mi sarei ammazzato». Poche parole sussurrate al legale Alessandro Vannucci, alla zia Silvia, prima dell’interrogatorio davanti al gip dei minori Vittorio Correa e al pm Anna Passannanti per la convalida del suo arresto: lo sguardo basso, inespressivo, F. Gavuzzo, il quindicenne che martedì pomeriggio ha ucciso prima la madre, Sybille Nerger, restauratrice tedesca di 46 anni, poi il padre, Enrico, 62 anni, ricercatore del Cnr, sparando a bruciapelo cinque colpi di calibro 22, a stento risponde alle domande dei magistrati. È ancora stordito, ripensa alle urla di Sybille ed Enrico, agli spari, al sangue sulla porta e sul pavimento, alla fuga sulla terrazza, al poliziotto che gli tende la mano: «Lasciati prendere, mamma e papà sono solo feriti». Poi la corsa in volante verso la Questura. Ieri mattina nel centro di prima accoglienza minorile di via Virginia Agnelli, il pubblico ministero incalza: «Perché l’hai fatto?». «Perché non volevo tornare in clinica - risponde F. a monosillabi - lì si soffre». Il ragazzino sarebbe affetto da gravi turbe psichiche, da una nevrosi «ossessiva-compulsiva» che mista a una depressione atipica scatena in lui scatti d’ira improvvisi. Raptus come quello che l’altro ieri è costato la vita alle due persone che l’amavano più d’ogni altra. «Il pm, d’accordo con me - spiega l’avvocato Vannucci - chiederà una perizia psichiatrica, vale a dire un incidente probatorio con il confronto dei risultati degli esami effettuati da consulenti dell’accusa e della difesa.
Se è vero che al 99,9 per cento il duplice omicidio è il frutto di una mente malata, finora però non c’è nulla che affermi per la legge l’incapacità di intendere e di volere del ragazzo». Da ieri pomeriggio, F. è nel carcere minorile di Casal del Marmo, decisione del giudice contestata dalla difesa: «Chiederò al Tribunale per il riesame la revoca della custodia cautelare - aggiunge Vannucci -. Più che un caso giudiziario, questo è un caso umano. Per la prima volta in tanti anni ho provato una così gran pena a vedere questo ragazzino che dimostrerà sì e no 12 anni sedermisi davanti. Si porta dietro un dramma immenso. Bisognerà aiutare lui e i suoi fratellini». I più piccoli dei Gavuzzo, rispettivamente di 6 e 11 anni, anche ieri sono rimasti ospiti della famiglia di un altro bimbo dov’erano a fare i compiti quel maledetto martedì. Mentre gli uomini della Scientifica e i poliziotti della squadra mobile erano intenti in un nuovo sopralluogo nell’appartamento della morte al sesto piano del civico 155 di via Turati, gli assistenti sociali del Comune sono entrati per prendere vestitini e giocattoli da portare ai due sfortunati fratellini. «Il più grande ha capito tutto - dicono - e si è chiuso in un profondo silenzio. L’altro non si rende ben conto. Con loro c’è uno psichiatra».
Nei prossimi giorni i giudici decideranno a chi affidarli, probabilmente agli zii. Intanto, gli inquirenti - che nell’abitazione dei Gavuzzo hanno sequestrato un’altra pistola e due fucili da tiro al volo di proprietà del padre - stanno ricostruendo il quadro sanitario del baby-assassino, già in cura presso il Bambino Gesù e da giugno affidato al centro per l’emergenza psichiatrica adolescenziale del Policlinico Umberto I.

«L’avevamo ricoverato una prima volta per 10 giorni - spiega la professoressa Teresa Carratelli -. E lo aspettavamo, appunto, per la seconda degenza. F. purtroppo non riconosce il suo stato di malattia. Come tanti ragazzi avrebbe avuto bisogno di una terapia domiciliare. Ma mancano fondi adeguati».

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