nostro inviato a Brescello
Oppure semplicemente è cambiato. Sì d’accordo, Zucchero ha sempre iniziato i suoi dischi tambureggiando energia. Stavolta, nel nuovo Chocabeck, ci sono tre ballate molto, ma molto, serene. Prima gozzovigliava tra rhythm’n’blues e soul. Ora è molto "roots", quasi folk, anche se un paio di volte ci dà dentro e squaderna pure versetti dei suoi, tipo il "dove c’è pelo c’è amor" di Vedo nero. È il suo miglior disco da anni, innanzitutto (prodotto oltretutto da mostri sacri come Don Was e Brendan O’Brien). E forse molto dipende dal fatto che "a 55 anni mi sento più libero, non penso se ciò che compongo andrà bene per le radio o cose del genere". Intanto sta benissimo, lui Zucchero, sorridente e vitale quando si siede alla scrivania di Peppone nel museo "Peppone e Don Camillo", qui nella bassa reggiana dove Giovanni Guareschi ha condensato l’Italia degli anni Cinquanta, mentre pioviggina umidità fuori dalle finestre e il paese è in festa manco ci fosse una festa dell’Unità. E si spiega lentamente, un pensiero dopo l’altro, tenendo per ultimi quelli che fanno notizia (i superospiti, suvvia, il disco è zeppo) e per primi quelli che gli stanno proprio lì, sulla punta della lingua e non ce la fanno a far finta di niente.
Però Zucchero tutti si aspettavano un disco arrembante: e invece.
"Presuntuosamente lo chiamo un concept album: parla di un paese immaginario, simile al Roncocesi dove sono nato e dove c’erano due cose, la Chiesa e il partito comunista. E’ poco distante da qui e perciò ho scelto Brescello per presentarlo".
C’è il rischio amarcord, però.
"No, sono partito da un ricordo, il ricordo di un’epoca in cui magari si litigava ma poi si faceva pace. Mio zio Guerra, un marxista maoista leninista, passava il tempo a litigare con don Giovanni che noi chiamavamo don Tagliatella perché aveva una panza così. Mio nonno Cannella diceva: mai visto un prete magro".
Bel clima.
"Ma alla domenica o alla sera, mio padre spesso diceva: però adesso don Tagliatella è solo come un cane. E lo invitavamo a mangiare da noi. Ho i flash di un periodo con più serenità e meno arroganza. Ecco, c’è molta affinità tra quello che vivevo e i film di Peppone e Don Camillo".
Per chi tifava?
"Beh, tuttora io mi sento un Peppone. Ma certo, se avessi trovato un prete simpatico come Fernandel...".
Sta parlando di una serie di film vecchia di sessant’anni. Ora c’è internet.
"E grazie a lei la musica è diventata una salumeria: un po’ di prosciutto, un po’ di mortadella e via così. Invece io credo ancora che un album abbia bisogno di omogenità nei suoni".
Scusi, ma il titolo?
"Chocabeck è una parola che usava sempre mio padre. Ero abituato al dolcetto a fine pranzo della domenica. Così gli chiedevo sempre: cosa c’è di dolce? E, se non c’era nulla, lui rispondeva: c’è del chocabeck".
Ossia?
"Una parola dialettale che indica il rumore del becco quando si chiude e non c’è nulla dentro. Mi ha sempre trasmesso molto amore. Per non annunciarmi crudelmente che non c’era nulla da mangiare, mio padre mi diceva che c’era del chocabeck".
Il titolo del disco è quasi un ossimoro perché è pienissimo di musica (sorprendente) e di ospiti (super). Guccini?
"Gli ho chiesto: mi scriveresti un testo? Lui ha risposto: perbacco, ci posso provare. Da Los Angeles gli ho spedito la musica. E dopo un mese ecco Un soffio caldo".
Bono?
"È uno che riesce a tenere vivo il bambino dentro di sé. Ha scritto il testo di Someone else’s tears, gli ho chiesto di cantarmelo per telefono così imparavo bene la pronuncia. Quando gli U2 hanno suonato all’Olimpico di Roma, sono andato a fargli ascoltare la versione definitiva. Lui si è messo lì con le cuffie e io tremavo. Poi si è alzato commosso e mi ha detto: mi hai fatto un grande regalo".
Il brano è nella versione internazionale (e in quella italiana in vendita su iTunes) che comprende anche due brani tradotti in inglese da Iggy Pop. Brian Wilson, ex Beach Boys, ha però cantato i cori di Chocabeck (in ogni versione sul mercato).
"E gli ha dato una marcia in più".
Alla fine Zucchero, lei non è più blues, non è più soul, forse è
"Ora il mio suono è il suono della domenica, che non c’è più, specialmente nelle grandi città. Un suono cristallino, positivo, speranzoso, di quelli che poi ti alzi e vai a dormire sereno".
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