LA MIA CITTÀ CHE ILLUDE E DELUDE

LA MIA CITTÀ CHE ILLUDE E DELUDE

Il fondo di Alberto Clavarino mi ha spinto a rileggere l'articolo di Massimiliano Lussana su Genova e sull'attrazione che essa esercita su di lui, quale egli è venuto dichiarandola in occasione della visione del film «Giorni e nuvole» di Silvio Soldini. Lussana ama profondamente Genova anche se la città gli è familiare da solo quattro anni. Come dargli torto!? E d'altra parte Clavarino parla (almeno nel titolo, sempre che sia suo) di una «Genova per noi che non la amiamo» perché richiama, come genovese, un contesto (una determinazione storica) che non gli è proprio congeniale. Da queste due voci (ed è probabile che se ne aggiungano delle altre) si può ricavare una sorta di filosofia alla «genovese» che può valer bene anche per coloro che genovesi non sono o sono soltanto di passaggio (e per loro che rimangono poco - spero non sia il caso del direttore Lussana - la città è come un punto di fuga). Per me che cittadino lo sono da sempre Genova illude e delude, essendo il suo respiro (palese e segreto) fondamentalmente corto. È l'orizzonte caratteristico della Liguria anche se la regione così come il suo capoluogo hanno vissuto tempi migliori. Genova è una città sfiorita a cui le cure (rinnovate) per renderla più bella di un tempo non riescono a nascondere le sostanziali debolezze dell'età non più eroica in ogni settore della vita economica, sociale e politica.
Troppo, lungo il percorso dei decenni passati, si è esercitata (talora involontariamente, talora volontariamente) la pratica dell'autoridimensionamento. E questo stesso è divenuto uno «stile di vita». Fare di necessità virtù: tale è stato l'imperativo arcigno che - grazie alle politiche industriali e sindacali riproposte unidirezionalmente nel tempo - è venuto sostanzialmente attuandosi e configurandosi come una seconda natura peraltro confacente visti alcuni precedenti non felici della nostra storia patria locale. Questa misura umana e civile ha sicuramente i suoi lati appaganti ma produce altresì la rara (e molto controvertibile) tranquilla collocazione che si può ritrovare in una cittadina di provincia immersa in un'atmosfera di sonno granducale settecentesco, senza nulla della edonistica felicità suggerita dalla atmosfere brillanti che quel mondo inevitabilmente richiama. Genova è città bella e austera ma quest'ultimo tratto del carattere collettivo non deriva dalla sicurezza di una forza posseduta ed esercitata con modalità consapevoli secondo forme di opportuno risparmio piuttosto è il risultato dell'adeguamento costante e tenace al navigare secondo l'onda contraria che ti costringe al permanente piccolo cabotaggio.
Non ci si può impedire di amare la terra materna ma non ci si può neanche vietare di coglierne criticamente tutti i difetti, un po' come l'età ci costringe a fare verso noi stessi e verso i nostri genitori. C'è una continuità nell'amore ma ce n'è anche una riflessiva e lucida nell'insoddisfazione, perché il paesaggio naturale della Liguria e, talora, quello modellato dall'uomo sprigionano certamente armonie reciprocamente integrantisi ma altresì, fatalmente, i progetti umani dei Liguri, talora non sempre capaci di suscitare energie positive, si scontrano tra loro generando posizioni di stallo che fiaccano i desideri e le volontà di coloro che intendono operare seriamente e produttivamente, inducendoli alla rassegnazione o ad una forma di esilio insistentemente ricorrente presso gli abitanti della nostra regione.
Leonardo Sciascia ne Una storia semplice fa dire a uno dei suoi personaggi più acuti e caustici che la Sicilia è bella ma che i siciliani lasciano alquanto a desiderare. È una modalità, quella siciliana, diversa da quella ligure.

Nell'italianità di entrambe c'è qualcosa che converge e qualcos'altro che diverge; in determinati momenti storici comunque i due popoli hanno vissuto dimensioni simili di staticità sociale che hanno generato energie distruttive capaci di flettersi e di colpire gli abitanti stessi. I genovesi, ed è un loro merito, hanno elaborato nel corso delle lunghe stratificazioni che costituiscono la loro civiltà uno stile non cruento di vivere i rapporti umani. È molto ma sicuramente, purtroppo, non basta.

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