Milano - In fondo il volto di Sheryl Crow è la miglior recensione del suo nuovo disco Detours: è bello di quella bellezza da ventre dell’America, da Missouri dimenticato dal mondo, ed è attraversato da rughe asciutte, sensuali e pensierose. E così lei ieri era a Milano per parlare, certo, delle sue nuove canzoni ma anche per annunciare pure a noi dell’altro mondo che è rinata dopo il tumore al seno, dopo aver lasciato il super campione di ciclismo Lance Armstrong e aver adottato, da single, un bimbo di due settimane. Adesso Wyatt Crow ha più o meno nove mesi e lei gli canta la ninnananna in Lullaby for Wyatt che è l’ultimo dei quattordici brani e uno dei pochi in cui lei parla di lei, si confessa lasciando perdere l’impegno politico, o meglio sociale, e smette di essere quello che è: il vero guru al femminile della generazione di quarantenni che non guardano Desperate Housewives, hanno una vita piena di cose alle spalle e sanno come iniziarne un’altra con cose diverse. Laureata (all’Università del Missouri) e majorette (al liceo della sua città), Sheryl Crow ha appena compiuto 46 anni, venduto tonnellate di dischi con il suo folk rock ed è talmente competente da non aver bisogno di aggrapparsi a slogan usa e getta. Parla e dice tutto. Tipo: «Dopo aver adottato un bambino, le cose si prendono molto più sul serio» e sarebbe una frase ordinaria se a pronunciarla non fosse un’ex corista di Michael Jackson, ex amante di Eric Clapton, vincitrice di 9 Grammy, pianista e bassista e chitarrista che ha visto il mondo da tutti gli angoli possibili, specialmente da quelli nascosti.
Sheryl Crow, lei è una delle poche cantanti che hanno ancora fede nel rock.
«Mi piace sempre credere che la musica possa cambiare in meglio il mondo».
Però è ancora obbligata a cantarne la tristezza. Come in Peace be upon us, in cui duetta con l’arabo Ahmed Al Hirmi.
«Il mio produttore Bill Bottrel ha chiamato un suo amico, un principe arabo, che ci ha messo in contatto con quest’artista».
Ma cantate pure in arabo.
«E per imparare la fonetica sono stata aiutata da un mio collaboratore di madrelingua. E in più ho smanettato molto su internet».
Ormai tutto passa da lì.
«Per molto tempo la tecnologia non è stata di grande aiuto per chi fa musica. Ma adesso dà una mano grossa così, persino per approfondire concetti lirici».
E non solo quelli. Anche le presidenziali americane corrono su YouTube.
«Di sicuro lì si possono avere molte informazioni in più su candidati e programmi».
A lei basta un disco. In Detours ci sono riferimenti ai disastri ambientali (Gasoline suonata con Ben Harper) e a New Orleans devastata da Katrina (in Love is free)...
«Ma internet aiuta la gente a capire meglio la realtà che ci circonda specialmente in politica, dove finalmente una donna e un nero concorrono per la Casa Bianca».
Lei chi ha scelto, Hillary od Obama?
«Nessuno dei due, accetterò il verdetto del Partito democratico».
Però internet è intasata anche dal gossip. Ha sentito del matrimonio lampo del premier Sarkozy con Carla Bruni?
«Mi sembra che lei sia molto attirata dal potere e anche dai musicisti. Sapete, Clapton, Mick Jagger eccetera. Però il gossip non mi piace, non so se nasca dai lettori o dall’offerta assidua dei giornali».
Problema vecchio. Però qualcuno dovrà farci i conti.
«Di sicuro, specialmente dopo il caso Britney Spears, i genitori adesso dovrebbero chiedersi come mai i loro figli sono ossessionati dalla celebrità o da pazzie tipo perdere la verginità sotto i 15 anni».
Dov’è Wyatt?
«Lo porto sempre con me: è qui al piano di sopra».
Chissà che musica ascolterà da grande.
«Anche se il jazzista Herbie Hancock ha vinto il Grammy per il miglior album, come in passato hanno fatto altri grandi come Steely Dan o Tony Bennett, credo che il futuro della musica passi ancora dall’impegno, dall’idea che non bisogna essere superficiali e credere che ogni piccolo comportamento sia fondamentale. Adesso io vivo in campagna a 45 chilometri da Nashville e vedo la vita per come è: un insieme di questioni importanti che devono ancora essere affrontate».
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