Il prossimo sarà "più ruvido e meno prevedibile", scherza Damiano Michieletto. Intanto però, per il suo debutto nel cinema, il regista d'opera celebre nel mondo grazie a spettacoli fortemente trasgressivi, sceglie uno stile classico. Primavera (in ben 160 sale dal 25 dicembre, dopo alcune anteprime il 14) è infatti la piana trascrizione filmica di Stabat Mater, il romanzo epistolare con cui, nel 2009, Tiziano Scarpa vinse lo Strega. "Ho deciso di girare un film, anche se questo non è il mio primissimo (ma il Gianni Schicchi che filmai quattro anni fa era un film-opera, questo un film tout court), perché volevo lasciare la mia comfort zone, come faccio anche in teatro, per mettermi alla prova e imparare cose nuove". Sempre dalle parti della grande musica, comunque, il soggetto sceneggiato dallo stesso Michieletto con Ludovica Rampoldi: siamo a Venezia ai primi del Settecento, nell'Ospedale della Pietà che raccoglie le trovatelle e ne fa delle provette musiciste, e dove il nuovo maestro di musica Antonio Vivaldi (Michele Riondino) si entusiasma per il talento della ventenne orfana Cecilia (Tecla Insolia), estrosa violinista. "In fondo la storia di due prigionieri - sintetizza la Rampoldi - Lui prigioniero della veste talare, che non ha scelto, e di una malattia di petto; lei dell'orfanatrofio e di una condizione di donna sottomessa. Ma l'incontro significherà per entrambi, anche se in forma diversa, un avvio di libertà". Attesissimo dal mercato estero, molto accurato nella ricostruzione estetica, e accompagnato da una colonna sonora moderna (firmata da Fabio Massimo Capogrosso) che coraggiosamente affianca brani vivaldiani, Primavera allude dunque col suo titolo "non solo al brano iconico di Vivaldi, che peraltro sentiremo solo sui titoli di coda spiega Michieletto - ma anche al fiorire di un nuovo destino, di un atto di rinascita, di ribellione, che siglerà il destino di Cecilia". Pur avendo cambiato mezzo espressivo, nella direzione dei suoi interpreti Michieletto non ha cambiato metodo. "Anche se stavolta non dovevo dirigere dei cantanti lirici, ma degli attori cinematografici, il mio metodo - ammesso che ne abbia uno - non è stato diverso. Agli interpreti io fornisco sempre delle indicazioni, precise ma non soffocanti. Quel che m'interessa è dove devono arrivare. Ma come arrivarci è affar loro; della loro sensibilità, del loro modo di stare al mondo".
Per Riondino i due protagonisti di questa storia "usano la musica per emanciparsi". Per la Insolia "è bello che, nonostante l'affinità elettiva, il loro rapporto sia rimasto quello fra un maestro ed un'allieva. E non sia sfociato in una banale relazione amorosa".