Luca Telese
da Roma
Piero Fassino era andato già via, Romano Prodi pure, Arturo Parisi - che avrebbe goduto tremendamente - è stato sottratto al suo trionfo da un malore. Chiunque per farsi una idea avesse seguito il gruppone dei cronisti, ieri avrebbe creduto che a metà pomeriggio il convegno del Radisson Hotel sul partito democratico si fosse virtualmente chiuso, che la tavola rotonda dei direttori di La Repubblica e del Corriere della Sera fosse solo una gradita giunta, come quella che il macellaio mette nella sporta delle signore a spesa finita. Invece era il contrario: la discesa in campo dellasse Paolo Mieli-Ezio Mauro è stato il piatto forte della serata, un vademecum per il nuovo partito, il de profundis per «i resistenti» dei Ds, spianati dalleffetto-domino di Unipol.
Già la prima battuta dice tutto, se è vero che Giuliano Amato, nei panni del moderatore, fotografava il paradosso con una delle sue stoccate icastiche: «Ecco... io sono abituato a dare risposte e a sfuggire domande - risolino serpeggiante in platea - non so se so fare... lintervistatore». Detta da un papabile per il Quirinale, non è premessa da poco. E infatti il bello inizia proprio lì, quando Mieli prende palla e detta lo spartito della serata (forse dei prossimi mesi) nel confronto dellUnione. Il problema chiave della sinistra italiana? «I post-comunisti». Amato gli dà il la con una osservazione sulle primarie: «Il 16 ottobre è nato il più grande partito della storia italiana, con 4 milioni e 300mila italiani che si sono iscritti lo stesso giorno, alla stessa associazione» (ovazione). Il direttore del Corriere accoglie la mozione dordine, ma mette subito il carico: «È vero. Ma questo partito ha una data di scadenza: si scioglie il 9 aprile» (gelo in sala). Poi spiega: «Questo esito si evita in un solo caso: se il leader indica unaltra data, quella entro cui costituire il partito democratico. Credo che questo partito debba nascere nei prossimi due anni, nella prima metà della legislatura». E le condizioni? «I nemici - spiega - sono due: il cosismo e lunificazionismo». Cosismo? Tutti capiscono che ce nè per i Ds: «Il cosismo - aggiunge Mieli - è la cultura con cui è nata la cosiddetta Cosa». Ovvero, annessione di cespugli al nucleo dirigente diessino. Qui il direttore affonda la spada con il taglio affilato di un però: «Avercelo un gruppo dirigente come quello dei Ds! Tutti fior di politici, diffusi su scala nazionale, però...». Il però cala con il passo dellironia e con la pesantezza di un macigno: «Però sono tutti post-comunisti». Inizia il bombardamento sulla Quercia: «I Ds sono lunico partito che non ha cambiato ragione sociale: nella Margherita non sono tutti ex Dc, altrimenti lo diremmo anche per loro... pure Rifondazione ha introdotto dei correttivi». Invece i Ds... Mieli scandisce lappello: «Fassino, Angius, Violante... chessò, Bassolino! Ditemene uno voi, uno... vengono tutti, tutti da lì. Ditemi un altro nome! E questo 16 anni dopo (la Svolta della Bolognina, ndr). Ma anche dopo 32, dopo 64 anni... possono pure passare due secoli, e ci sarà la trasmissione ereditaria di padre in figlio. Qualche caso cè già...». Tutti si chiedono: DAlema? Un attimo e ottengono certezza: «In questi anni - aggiunge Mieli - è comparsa due volte lespressione figli di un dio minore: nel 1998, con il governo DAlema, e questa estate, quando ci si chiedeva perché le Coop non potevano fare loperazione Unipol... Speriamo che non riappaia la terza volta».
Tocca a Mauro. Che parli per difendere la Quercia? Macché, va giù con il napalm. Parte dai tempi: «Tre anni per il partito democratico? Troppi». Egemonia diessina? Manco morti: «Il cosismo è la disgrazia della sinistra italiana». E poi: «I Ds sanno benissimo che la ragione psicopolitica che impedisce questo processo è la difficoltà di superare lidentità comunista che li ha marchiati». E per superarla, questa identità... «Serve un apriscatole esterno» (Prodi).
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