Genova - Chi ama i corsi e i ricorsi storici, si dondola con un dato statistico: se il Milan berlusconiano vince la prima di campionato, in trasferta, di solito vince lo scudetto. Da Sacchi, venti anni fa (a Pisa con un rotondo 3 a 1) ad Ancelotti, settembre del 2003 (2 a 0 sull'Ancona), la macumba si ripete. Forse non è il caso di prendere per oro colato la partenza del Milan ieri a Marassi (assente da 25 anni il segno 2 con il grifone: anche questo dato suggerisce un misurato ottimismo) e perciò di attendere verifiche più consistenti per sciogliersi nello zucchero ma è certo che alla fanfara della Juventus di Trezeguet rispondono gli squilli di tromba di Kakà e dell'armata rossonera. Di sicuro, sul conto dei campioni d'Europa, si capiscono al volo una serie di cose: il Milan sembra animato dallo spirito migliore, la testa è quella di Atene e le gambe, nonostante il caldo umido di ieri pomeriggio, rispondono alla grande dopo una preparazione tradizionale. E se persino Oddo segnala un efficace addestramento così da risultare una delle pedine decisive della sfida, allora è segno che la scuola di Milanello funziona ancora e che solo l'usura degli eroi datati e gli acciacchi eventuali possono frenare la marcia rossonera.
In verità c'è un altro dato da smerigliare: la formula tattica dell'unica punta funziona come una slot machine. Basta infilare nella fessura la moneta, ed ecco che al primo no, al secondo neanche, al terzo tentativo scatta la combinazione vincente ed escono i marenghi. Se non c'è Gilardino a sbavare palle importanti (attenti, sta diventando un caso clinico, urgono provvedimenti di sostegno psicologico), il gol diventa uno sbocco inevitabile appena Pirlo detta, su punizione, lo schema numero due e Ambrosini, indisturbato, si presenta sul primo palo per timbrare il cartellino di testa. Quando poi tocca a Kakà sbrigare la pratica si capisce che la magia della passata Champions league è intatta.
L'asso brasiliano inseguito inutilmente dal Real può sentirsi trequartista e confessare di continuo una vocazione diversa («mi diverto a suggerire assist») ma è il gol che lo corteggia in modo sfacciato: il primo sigillo è la conclusione di una bella trama, promossa dal solito Oddo a destra, il secondo è un rigore discutibile fischiato da Saccani (Rubinho interviene prima sul pallone e poi rovina sulla sagoma di Gilardino impedendogli di fatto di raggiungere il pallone) e nel quale Kakà suggerisce il varco giusto al suo centravanti stralunato prima di scolpire il 3 a 0 dal dischetto e chiudere la contesa all'intervallo. Il Genoa non se ne sta a guardare, come può sembrare a chi arrivasse in ritardo allo stadio. No, sceglie di affrontare il rivale sul terreno della corsa e dell'attacco frontale, sfonda a destra dove Papa Waigo mette alla frusta Jankulovski ma ne ricava un paio di palloni in curva invece di trarre subito profitto dalle disattenzioni del ceco. Non solo.
Con quel disegno tattico (3-4-3), Gasperini consegna a Kakà e Seedorf un eccesso di libertà che i due sfruttano con fare malandrino organizzando giocate di grande pregio. Un'azione simbolica per dare l'idea: da un angolo a favore del Genoa parte il contropiede nel quale si ritrovano in tre milanisti (Kakà, Gattuso e Oddo) contro uno (Bega). Non solo. Il tecnico genoano interviene in netto ritardo a sorvegliare la corsia di destra dove Oddo tiene Di Vaio alla catena lanciandosi in continui assalti: quando provvede alla bisogna, inizio della ripresa, la squadra è già sotto di tre gol. Strepitosa la curva nord: salta, canta e applaude come se il Genoa stesse maltrattando il Milan e non viceversa.
Peccato per quella ferita: stadio chiuso ai tifosi milanisti, controlli serrati, in giro tanto, gratuito veleno prim'ancora di veder sgabbiare la partita, segno che c'è del rancore ingiustificato e pericoloso.Il viaggio a Montecarlo (supercoppa d'Europa venerdì sera) comincia bene per il Milan. Si lasci scortare da un avvertimento: il Siviglia non è neanche lontano parente del Genoa.
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