Milan indignato dagli errori di Leo e dallo stile Inter

Al Milan conoscono la regola numero uno: chi perde ha sempre torto. Torto marcio, bisognerebbe aggiungere in questo caso. Perciò ieri silenzio assoluto sull’esito mortificante del derby stesso e sulle polemiche targate Inter. Quest’ultimo è da definire un silenzio «sdegnato», recitato a stento dallo stesso Adriano Galliani che avrebbe avuto voglia, una voglia matta, di cantarle a Leonardo e alla sua panchina per la gestione della sfida, ma anche di suonarle a Moratti, Paolillo e Mourinho, per tacere di Abete rimasto finora sempre in disparte, quasi fosse del movimento, «sputtanato» a più riprese dal portoghese, non il garante assoluto, il presidente cioè ma un semplice osservatore dell’Onu, uno che ascolta e fa spallucce insomma come se Mourinho parlasse male degli arbitri portoghesi e Moratti del calcio polacco. Allo sdegnato silenzio, si può e si deve aggiungere il fastidio personale tradito per il comportamento tenuto da alcuni vip e taluni dirigenti interisti presenti in tribuna d’onore a San Siro. «Siamo inorriditi» la confessione di un componente della delegazione rossonera. E non si tratta solo dei gesti finiti in tv, i «vaffa» di Moratti, le pantomime di Mourinho, la «pagliacciata» finale di Materazzi. «Hanno preso di mira noi dopo ogni fischio dell’arbitro» l’altra confessione. Purtroppo, non è la prima volta: ci sono precedenti in materia. Né è possibile procedere a una separazione forzata: la gestione, in consorzio, di San Siro, costringe i due club a vivere sotto lo stesso tetto.
COMPLESSO D’INFERIORITÀ
La regola numero due, per un club abituato a vincere in Europa e nel mondo, è la seguente: riconoscere i propri limiti. Quelli del Milan sono stati smascherati al volo, dalla partenza arrembante dell’Inter: i rossoneri sembravano la fanteria scozzese che marciava in gonnellino suonando tamburi e cornamuse contro l’esercito nemico durante la guerra dei sette anni. Sono entrati in soggezione, hanno patito l’aggressività altrui, sono stati presi a pallate (Sneijder che scheggia il palo, due-tre tiri deviati dalle sagome rossonere) e quando è venuto il tempo di comandare la sfida non sono riusciti a tirar fuori gli artigli.
LIMITI STRUTTURALI
I limiti del Milan senza Kakà sono noti a tutti, agli interessati, ai tifosi e ai critici. Solo qualche buontempone può aver sopravvalutato il secondo posto e la striscia dei successi 2010. Abate e Antonini hanno mostrato le rispettive insufficienze e fin qui non c’è la notizia, francamente. La mancanza di alternative a disposizione della panchina (Zambrotta ko, Jankulovski non particolarmente versato per difendere e con una gamba non ancora collaudata) marca la maggiore differenza rispetto all’Inter che può rimpiazzare la partenza per un mese di Eto’o con Pandev. Piuttosto sono le performances dei capo-classe che han lasciato l’amaro in bocca: Ronaldinho per cominciare, i centrocampisti azzurri per finire.
GLI ERRORI DI LEO
La regola numero tre rispettata in casa Milan è questa: i panni sporchi si lavano in famiglia. E infatti le prossime ore serviranno a fare un bel bucato a Milanello (c’è il caso Inzaghi: lui si lamenta in privato, i giornali scrivono e lo spogliatoio si destabilizza), non solo in vista della coppa Italia ma anche per far crescere il tecnico brasiliano e per ottenere dal gruppo una risposta autorevole e autoritaria in campionato. Perché se il capitolo scudetto non è mai stato aperto per chi avesse avuto occhi per guardare non solo ai numeri, è ancora tutto da giocare il duello rusticano con la concorrenza che avanza alle spalle, Roma e Napoli. A Leonardo si possono mettere nel conto gli errori commessi nella seconda frazione del derby. Prendiamo quelli specifici, tattici. La difesa schierata ancora a 4 nonostante l’Inter fosse con il solo Milito davanti, è un sintomo di mancanza di sicurezza.

Con Ambrosini fuori fase, con Gattuso poco utile e Beckham fuori dal coro, ha preferito far scaldare Seedorf invece che lanciare nella mischia Huntelaar che è l’unico in grado, per forza fisica e determinazione, di dare una mano a Borriello stritolato nella morsa di Samuel e Lucio. Quando l’olandese è entrato, i giochi erano fatti, sul piano del risultato. Purtroppo.

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