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«Milano? Degradata e pure brutta Almeno a Zena abbiamo il mare»

«Milano? Degradata e pure brutta Almeno a Zena abbiamo il mare»

(...) E proprio perché Milano non è bella come Genova le sue criticità, per un «foresto» come me, sono ancor più inconcepibili. Ad esempio, non concepisco come una città non bella si permetta anche il degrado, la sporcizia, la mancanza di controlli, le zone franche in pieno centro, l'abbandono e la sciatteria. Partiamo dall’inizio. Devo andare a Milano per ragioni personali e, poiché il mio primo impegno è fissato al mattino presto, decido di pernottare in città. Arrivo in treno nel primo pomeriggio del giorno precedente.
Scendo in stazione Centrale e vado vedere il famoso binario 21, «già simbolo della vergogna ma ora luogo d’incontro tra civiltà, di dialogo», parole del sindaco Letizia Moratti e del capo dello Stato Giorgio Napolitano, all’inaugurazione di quello che è stato presentato come il «memoriale della Shoah», nel luogo dove gli ebrei venivano ammassati sui carri piombati in partenza per i campi di sterminio. Peccato che, anziché un simbolo della memoria, quel luogo sia piuttosto l’emblema dell’incuria e dell’abbandono.
Sulla strada, sotto il porticato giacciono indumenti abbandonati e rifiuti, sui basamenti delle colonne ci sono due flaconi di metadone, perché da queste parti lo spaccio è esplicito, a viso aperto. Il pavimento è costellato da stagnole, cartacce, scatole di cartone, bottiglie vuote, siringhe. Su tutto domina, insopportabile, l’odore di urina. Venti metri più in là il marciapiede si riduce per far posto a un grande passaggio carraio che porta ai sotterranei. Sembra costruito di recente, ma è tutto abbandonato e in condizioni disastrose: spazzatura, escrementi, siringhe ovunque. Disperati e clandestini usano la lunga rampa come gabinetto anche in pieno giorno, sotto gli occhi degli inquilini delle case di fronte. Difficile non vedere i mucchi di spazzatura di ogni genere abbandonati in via Padova, tra marciapiede e strada, in mezzo ai pilastri del ponte ferroviario.
Così in via Doria e in piazza Caiazzo dove, come in tutta la zona intorno alla Stazione Centrale, c’è un totale disinteresse a mantenere un minimo di decenza e sicurezza. Strani personaggi e delinquenti si accampano lì, rendendo il quartiere pericoloso. In via Andrea Doria vedo addirittura una macchina abbandonata da tempo immemorabile, palesemente dormitorio di tossicodipendenti. Il primo approccio di un «foresto» con Milano è dunque con gli spacciatori, i delinquenti, le siringhe e i rifiuti ammassati, i gabinetti a cielo aperto e le fontanelle usate come docce.
Ma ciò che è inconcepibile è che nessuno, amministrazione Moratti in primis, faccia/abbia fatto qualcosa. Perché i milanesi hanno accettato una situazione del genere? Come hanno fatto a non pretendere che la loro città avesse un aspetto dignitoso? A Milano, in pieno centro come in periferia, ci sono zone che si frequentano a proprio rischio e pericolo. Per esempio, non ho capito se da via Imbonati sia mai passato un tram o un treno: binari e orribili pali, con tanto di cavi per l’alimentazione abbandonati, occupano metà della carreggiata... a due passi dal centro! Milano è la città della moda o il terzo mondo? Ma perché?
Via Sammartini è famosa perché si trova a due passi dal celebre Palazzo del Sesso, ed è nota a tutti gli italiani grazie anche ai numerosi reportage televisivi (dalle reti locali fino alle Iene di Italia 1). Più volte la polizia ha fatto retate, ma il giorno successivo ritorna tutto alla normale routine. Così, rientrare a casa dopo le 22 diventa una sfida con la velocità: in un tempo brevissimo bisogna cercare le chiavi in tasca e aprire il portone, altrimenti spacciatori e ubriachi - accorsi per godersi lo spettacolo dei trans e delle prostitute - si avvicinano per chiedere chissà cosa... Ma perché? Nell’area centrale di corso Genova e di via Torino ho notato un’impressionante carenza di pulizia. Mentre ero lì, un gruppo di giapponesi si è fermato a guardare lo scempio e, pur non conoscendo la loro lingua, ho facilmente percepito il loro disgusto. Che era anche il mio. Troppa confusione, troppe macchine, troppi escrementi di cani, auto parcheggiate ovunque e nessun vigile in giro. E siamo vicini al Duomo. Ma che Milano è? Ma che Milano vogliono i milanesi? Ma perché?
Via Crema, non è molto lontana dal centro eppure, all´angolo con via Trebbia, c’è un vero monumento all’incuria. Attorno alla centrale dell’acqua potabile, in mezzo alla piazzetta su cui si affaccia anche la parrocchia di San Rocco in Sant’Andrea, c’è di tutto: non solo rifiuti, ma anche erbacce altissime, asfalto decrepito e spaccato, un blocco di cemento. E poi file di bottiglie di birra vuote, un vecchio asse da stiro, batterie di scooter che emergono da uno spesso strato di terriccio e foglie secche, persino un proiettore per diapositive fatto a pezzi. Ma perché?
Verso il sud della città la situazione non migliora: sacchi di spazzatura abbandonati proprio davanti al consolato cinese di via Benaco, immondizia e stracci lungo un muro di via Romilli. Nella rotonda di piazza Bonomelli, ecco gli antichi resti di un incidente stradale sotto i quali fa ormai capolino l’erbetta, ma anche due segnali stradali sradicati, un pannello appoggiato a terra, un archetto piegato e appiattito. Ma perché? E un giro dalle parti di via Pampuri, una traversa poco più a nord del grande incrocio con via Virginio Ferrari, può permetterci di ammirare una sorta di Stonehenge alla milanese, fatta non da monoliti di pietra ma da panettoni di cemento che, un tempo forse collocati in cerchio, ora sono messi a casaccio assieme a tre pali monchi. L’arredo urbano della zona è completato da un segnale stradale storto e da una fila di spartitraffico new jersey a separare le due corsie di via Amidani, quasi fosse un tratto di tangenziale e non una via semideserta e senza uscita. Ma perché?
Foresta urbana, ma a macchia di leopardo, anche nei giardini di via Bazzi, proprio di fianco alla ferrovia che arriva da Porta Romana. Da un lato erbacce altissime, dall’altro una triste fila di alberelli piantati da poco e già secchi, accanto ad altri che sono riusciti ad attecchire. Sul vialetto d’asfalto spiccano quattro blocchi di cemento a gradoni che dovrebbero servire da panchine: ma sono sporchi e coperti di scritte spray, il rivestimento giallo cade a pezzi.
Lì vicino sono state volonterosamente realizzate un paio di aiuole di «Viburnium (Davidii)» come spiegano i cartellini ancora appesi: ma molte piantine sono secche, tante macchie marroni su quello che doveva essere un tappeto verde. Poco più avanti, tornando verso il centro, dopo un concessionario d’auto in viale Toscana, si apre un misterioso e malandato cancello. È arrugginito, ricoperto di rete di plastica arancione a brandelli. Su un lato ci sono i resti sfondati di quello che doveva essere un citofono. All’interno mucchi di detriti, foreste di erbacce, rifiuti, blocchi di cemento qua e là. Ogni tanto entra un camion che trasporta altri detriti. Il cartello dice «Comune di Milano, ufficio tecnico servizio giardini, magazzino zona Sud». Ma perché?
Proseguendo verso la periferia la situazione non migliora. Ma quando si arriva al cavalcavia di viale Cassala, che passa sopra il Naviglio, si raggiunge l’apoteosi: tutto il ponte è coperto da scritte e resti semi strappati di manifesti che nessuno ha mai tolto. Ma il peggio è dentro, nel sottopassaggio usato ogni giorno da migliaia di persone che salgono dal naviglio al viale e viceversa. C’è da chiedersi come abbiano fatto i cosiddetti writer a tappezzare completamente a spray muri e soffitti resistendo all’odore soffocante di urina, e ci sarebbe soprattutto da capire perché qui i netturbini non facciano pulizia né portino via i cumuli d’immondizia e vestiti stracciati che ingombrano scale e corridoi. Ma perché?
E il Giambellino? Da queste parti cominciano i guai seri. A partire da via Giambellino. Le rotaie del tram in mezzo alla carreggiata fanno impressione. Erbacce crescono dappertutto, accanto ai binari la corsia in terra battuta ha la doppia funzione di parcheggio e pattumiera con cartacce, lattine, stracci, stendibiancheria sfasciati, auto abbandonate, come una vecchia Fiesta senza un finestrino e piena di spazzatura. Le aree verdi, chiamiamole così, che si aprono lungo la via non stanno meglio. Largo dei Gelsomini, ad esempio, che unisce via Giambellino con via Lorenteggio: il nome leggiadro non inganni, si tratta di un altro orrore. Metà della piazza, adibita a giardino pubblico con praticelli e panchine, è invasa dalla spazzatura: stracci, bottiglie, cartacce si ammucchiano sotto i cestini verdi dell’Amsa e in giro per il prato. L’altra metà è una sconcertante spianata di terra battuta in mezzo ai palazzoni che viene usata come parcheggio: anche qui auto sfasciate e abbandonate, carrelli del supermercato pieni di immondizie, detriti dappertutto. Ma perché?
Verso San Siro (e da queste parti passano migliaia di visitatori italiani e stranieri) lo scenario non cambia: in via Monte Rosa, accanto alla sempre più malandata pista ciclabile, quella che appare un’uscita di servizio del metrò si è trasformata in un gigantesco cassonetto dell’immondizia dove in fondo alle scale, assieme ai consueti graffiti, c’è di tutto. E poi piazzale Lotto. Si rischia davvero la monotonia raccontando l’abbandono dei giardini, la spazzatura sui prati e attorno alle panchine, i cestini dei rifiuti stracolmi. Ma perché? Torniamo al Duomo e dintorni. Il degrado è lì, sotto gli occhi di tutti, accanto al simbolo stesso di Milano, mica in un angolino isolato ma sul lato di corso Vittorio Emanuele, a pochi metri da uno degli ingressi per gli ascensori della cattedrale.
Poco lontano ci sono la Rinascente e la passeggiata preferita dai turisti. Eppure il pavé assomiglia a un paesaggio lunare. Quattro buche che nessuno si cura di riempire segnano il marciapiede tra il Duomo e un ingresso del metrò. Non è un caso isolato. Basta attraversare la piazza per arrivare alla Loggia dei Mercanti, che potrebbe essere uno degli angoli più suggestivi nel cuore di Milano e che dà invece l’idea di un retrobottega dimenticato. Sotto il porticato del palazzo della Regione un cratere largo un metro e mezzo sfregia il pavimento mentre sui lati restano i rifiuti lasciati dai senzatetto.
Verso San Babila, mix di incuria e vandalismo e, in una delle gallerie che si aprono sui lati di corso Vittorio Emanuele, le scale che portano agli ingressi dei palazzi sono costellate da graffiti e scarabocchi e su una, chiusa da un cancello con lucchetto, sono stati abbandonati stracci e vecchi abiti. È una delle tante zone franche della città dove writer e semplici imbrattatori sembrano avere tacitamente ottenuto carta bianca. Ma perché?
E piazza Leonardo Da Vinci, il cuore di Città Studi, un quartiere che dovrebbe essere uno dei fiori all’occhiello della città? Al centro dell’area pedonale, sul lato di viale Romagna, sorge la grande scultura-fontana realizzata da Andrea Cascella una trentina di anni fa «Nel giardino della pace». C’è un’iscrizione ormai quasi illeggibile: «La Metropolitana milanese alla Città di Milano». Un dono che appare tristemente abbandonato al suo destino. Il granito rosa è deturpato ovunque dai soliti scarabocchi a vernice spray, l’acqua della fontana è colma di immondizie, galleggianti e non che nessuno si cura di portare via. Il consueto mix di inciviltà e degrado in un luogo che però non è isolato, ma al contrario molto frequentato da studenti, mamme con bambini, anziani a passeggio e, tutto intorno al monumento dove qualcuno ha anche appoggiato il rottame di una rossa bici Bianchi, ecco l’asfalto della piazza pieno di crateri, in rovina da chissà quanto tempo. Ma perché?
E infine provate a passare dietro l’ospedale San Carlo....peccato non aver potuto fotografare la scena, sembrava surreale. Come in un quadro d’autore...al lato della strada, perfettamente allineate, le roulottes dei nomadi e le loro lussuose automobili immerse in un mare di spazzatura, dentro il quale si rincorrono bambini scalzi.

Degrado ambientale o degrado umano? Ma perché?
Insomma, signora Guerri, un po’ ironicamente ho utilizzato le sue stesse parole sostituendo semplicemente Genova con Milano e, mi perdoni, la sua città non esce vincitrice dal confronto sul degrado, anzi ne esce nettamente sconfitta.
A noi però rimangono il mare, il sole, il verde e, dulcis in fundo, e nonostante la sua opinione …i genovesi.
Cordiali saluti
Francesco Scidone
assessore comunale
alla Sicurezza di Genova

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