Quella della tolleranza è una virtù difficile perché va esercitata non già a favore di chi condivide le nostre idee, ma di chi la pensa diversamente. È questa la prima considerazione che suscita la vicenda, oggettivamente tormentata, di un uomo come Roberto Lassini, già sindaco democristiano di Turbigo e poi travolto da un’inchiesta che prima l’ha portato in cella e poi si è risolta in un nulla di fatto.
È evidente che la sconclusionata iniziativa dei cartelloni anti-magistrati è figlia di esperienze personali dolorose. Quei manifesti, che chiedevano di «mettere le Br fuori dalle procure », erano comunque firmati.
Il nostro quotidiano è risalito al responsabile, ma a ben guardare ci sarebbe però potuto arrivare chiunque che ora dovrà fare i conti con le conseguenze del suo gesto. Comprese quelle politiche, che comunque sono nelle mani degli elettori: il giudizio sulla sua iniziativa lo daranno le urne. Perché i cittadini saranno liberi di votarlo, come è giusto e ovvio in democrazia. Ieri s’è parlato di una sua autosospensione, smentita però dal Lassini: è candidato, resta candidato e aspetta solo di vedere che cosa faranno gli elettori.
La sua iniziativa riporta al centro un tema troppo spesso lasciato sullo sfondo: in un Paese libero è una buona cosa che vi sia chi attacca il governo e la maggioranza, ma con loro anche gli altri poteri, magistratura inclusa.
Non era così nell’Italia di fine Ottocento, in cui molti militanti socialisti o anarchici furono costretti a riparare in Svizzera solo perché avversavano gli sbirri e i «tribunali borghesi». Né era liberale la Germania guglielmina, in cui si veniva processati per aver marciato il Primo Maggio dietro a una bandiera rossa. La qualità di un dibattito si misura anche dai toni (e quei manifesti sono a dir poco stonati), ma se si vuole che dal conflitto si passi a un più civile confronto è bene che da una parte e dall’altra si inizi a riconoscere l’avversario. E che quanti dispongono del potere ne facciano un uso responsabile.
La migliore risposta a chi accosta Br e magistrati possono allora darla questi ultimi, accettando di essere messi in discussione: come chiunque altro. Bisogna che ogni potere sia «demitizzato» e che la forza della ragione prevalga sulla ragione della forza.
I giudici e i pubblici ministeri non devono pensare che la loro funzione li collochi al di sopra di tutti.
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