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Allarme commercio, dai bar ai parrucchieri il 5 per cento è cinese

Sempre più le attività gestite da orientali Fi e Cisl: «Vigilare sul rispetto delle regole»

Allarme commercio, dai bar ai parrucchieri il 5 per cento è cinese

Sono 2400 le attività commerciali gestite dai cinesi a Milano, ovvero il 5 per cento del totale tra parrucchieri ed estetisti, bar e ristoranti, attività ricettive come alberghi e pensioni, gelaterie, pizzerie da asporto, edicole, agenzie di affari e mense e bar interni a circoli. Così se per numeri assoluti gli esercizi di vendita al dettaglio sono i primi in classifica, tra negozi di vicinato e medie e grandi strutture (919), al secondo posto si trovano bar e ristoranti (876) al terzo acconciatori, parrucchieri ed estetisti (556). Al quarto posto si piazzano mense e bar interni a strutture e circoli con 43 attività e al quinto gelaterie, pizzerie da asporto e kebab con 30 punti vendita. La classifica si rovescia se si guardano le percentuali: i parrucchieri ed estetisti cinesi, infatti, occupano ben il 10 per cento del settore, bar e ristoranti il 9,84 per cento, alberghi e residence il 4,81 del mercato.

In tutta Italia sono già 641 le imprese, comprese le multinazionali controllate da 300 gruppi cinesi o di Hong Kong, con oltre 30mila dipendenti coinvolti. Per quanto riguarda la Lombardia è di meno di un mese fa l'acquisizione di Candy, della famiglia Fumagalli di Brugherio, da parte dei cinesi di Qindao Haier per 475 milioni di euro: si tratta dell'ultimo dei marchi italiani che passa in mani estere. Risale al 2015 invece l'acquisto del 51 per cento del capitale di Pirelli da parte di Chem-China. Cuore pulsante dell'azienda la Bicocca dove ha sede il centro ricerca e sperimentazione, mentre si trova a Bollate lo stabilimento che produce prodotti top level.

Quali i rischi per le imprese italiane? La Cisl Lombardia ha organizzato, in occasione della visita eccezionale in Italia di Han Dongfang, fondatore del primo sindacato indipendente in Cina, il China Labour Bulletin, martedì un incontro sulle prospettive per l'impresa italiana. «C'è allarme e allerta in Lombardia - spiega Massimo Zuffi della Cemca Cisl, che parlerà del caso Pirelli - per lo sbarco sul mercato italiano di colossi cinesi. Mentre prima gli orientali venivano da a noi per copiare, ora che hanno abbondanza di capitale si comprano le aziende e il know how, per poi esportarlo». Due le preoccupazioni: la fuga, o meglio l'esportazione, dei cervelli e il rischio occupazionale. Come successo con colossi tedeschi e svedesi in passato, che hanno acquisito aziende italiane portando poi il quartier generale nei paesi di origine, si teme che possa accadere la stessa cosa. Al momento, però, lo scambio ha un duplice vantaggio. Il capitale cinese permette di ricapitalizzare le aziende e rilanciarle sul mercato, dall'altro i cinesi acquisiscono il know how.

Venendo, invece, alle piccole realtà, molto radicate sul territorio, mostrano una comunità operosa e produttiva. «E' anche vero però che in molti casi, dietro la facciata rassicurante di un centro per massaggi o estetico, si celano attività assolutamente irregolari, sulle quali le forze dell'ordine hanno il dovere di vigilare, intensificando i controlli. Visto l'alto numero di attività - spiega Gianluca Comazzi, capogruppo di Forza Italia in Regione Lombardia, auspichiamo che gli oltre 2mila titolari di negozi paghino regolarmente le tasse, contribuendo all'economia del nostro Stato».

Punta sul costo del lavoro Zuffi, facendo riferimento alla concorrenza spietata dalle attività cinesi che molto spesso sfruttano i dipendenti: «Servono controlli costanti e approfondimenti - spiega i sindacalista - per verificare che i datori di lavori cinesi rispettino i contratti di lavoro nazionali per quanto riguarda orario di lavoro e retribuzione. Anche così si può ristabilire una concorrenza reale».

Marta Bravi

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