Cronaca locale

Australia, l'arte agli antipodi tra aborigeni e nuovi media

Al Pac opere contemporanee dalla «terra di nessuno» E a gennaio un artista metterà «a nudo» i visitatori

Australia, l'arte agli antipodi tra aborigeni e nuovi media

Il Pac ci fa un bel regalo di Natale e ci porta in Australia. Basta varcare la soglia di via Palestro per ritrovarsi gli antipodi, in quel Down Under che è un'isola-continente che spesso vagheggiamo, ma assai poco conosciamo. L'Australia, per gli inglesi terrae nullius, terra di nessuno, buona solo a farci una colonia penale, ancora oggi soffre di questa storia negata, di un passato scandito da migrazioni forzate (e di un presente di approdi negati), di culture che mai si sono mescolate per bene. Eppure, o forse proprio per questo, alimenta il sogno di grandi spazi e infinite possibilità. Anche la scena artistica merita di essere esplorata: nel viaggio Australia. Storie dagli antipodi (fino al 9 febbraio) ci guida il curatore Eugenio Viola, che per due anni si è trasferito laggiù, e che a Milano è riuscito nell'impresa di realizzare la più grande mostra di arte australiana contemporanea mai realizzata fuori dal continente. Il percorso è interessante, la seduzione garantita.

Trentadue artisti, alcuni affermati, altri emergenti, alcuni legati all'arte europea altri a quella asiatica, altri ancora alla creatività aborignea e molteplici mezzi espressivi: in mostra sculture, video, installazioni, fotografie, dipinti e performance. Ieri il 55enne Marco Fusinato ha riempito il Pac con le note della sua chitarra, in una sfiancante esibizione musical-artistica di 6 ore. Artista visivo è anche musicista sperimentale: sarà questo italo-australiano a rappresentare l'Australia alla Biennale di Venezia del 2021. Stuart Ringholt metterà invece letteralmente a nudo i visitatori, il 16 gennaio, nel suo Naturist Tour, visita in mostra con l'artista, rigorosamente nudi perché «anche i vestiti influenzano la percezione delle opere e sono una barriera da eliminare». Non è l'unica sorpresa: gli animali in silicone di Patricia Piccinini, iperrralistici e surreali, rubano la scena e paiono dialogare, attraverso la vetrata, con le sculture di Fausto Melotti nel giardino del museo. Accanto, poggiata sul pavimento, la toccante installazione di cocci di bottiglia accostati come fossero scheletri da Fiona Hall. Il mondo è in pezzi, il mondo è sottosopra: lo dimostra la serie di foto di Jill Orr che ritraggono l'artista arrampicata, nuda, sugli alberi. Risalgono agli anni Settanta e sono accostati a un suo lavoro recente dove il paesaggio, piatto e assoluto, è protagonista. Gli artisti australiani fanno i conti con la storia: Christian Thompson, primo aborigeno ammesso a Oxford, trasforma i ritratti ufficali di James Cook in maschere, Tony Albert crea «aboriginalia» in una scritta Native fatta con posacenere, cartacce e manufatti turistici, Vernon Ah Kee realizza toccanti manichini dipinti, Daniel Boyd dipinti a puntini bianchi, seguendo l'antica tecnica aborigena. Al piano superiore, foto e video-installazioni riflettono sulla natura, unica, del continente australe (ragni che paiono gioielli, uccelli sconosciuti) e di segni tribali che diventano cicatrici: parlano di identità e razza, di colonizzazione e politica presente, di natura incantata e inquinamento.

L'Australia non è un monolite, ma un ibrido.

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