
Il flop al referendum su lavoro e cittadinanza apre la resa dei conti nel Partito democratico e manda in frantumi il «campo larghissimo». Schlein e Boccia festeggiano la «sconfitta» mentre l'ala riformista della coalizione punta i fucili contro la svolta radicale della segretaria dem. Il dato sul voto è chiaro. Il 30% equivale a 14 milioni di elettori che si sono recati alle urne. Confermando il dato che il «campo largo» (più Italia viva e Azione) ha raccolto alle ultime elezioni politiche.
Le opposizioni non crescono in termini di voti in valore assoluto. Sorprende inoltre il dato sulla cittadinanza: 35% di no. Quasi 5 milioni di elettori (di sinistra) hanno bocciato la proposta di abbassare da 10 a 5 anni il requisito per ottenere la cittadinanza italiana. Qui i malumori si indirizzano contro l'alleato Giuseppe Conte che aveva lasciato libertà di voto sul quesito per la cittadinanza. Il campo largo esce con le ossa rotta dal voto e fallisce «la spallata al governo Meloni».
La resa dei conti nel Pd è ufficialmente aperta. Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo, non fa sconti alla segretaria: «Una sconfitta profonda, seria, evitabile. Purtroppo un regalo enorme a Giorgia Meloni e alle destre. Fuori dalla nostra bolla c'è un Paese che vuole futuro e non rese di conti sul passato. Ora maturità, serietà e ascolto, evitando acrobazie assolutorie sui numeri».
Tra i democratici anche Elisabetta Gualmini, europarlamentare dem, parla di «clamoroso autogol». È una pioggia di attacchi contro Schlein: «Autogol che andava evitato» dice Giorgio Gori. Maurizio Landini, il promotore della campagna elettorale, ammette la sconfitta. Elly Schlein però legge i dati in altro modo: «Hanno fatto una vera e propria campagna di boicottaggio politico e mediatico di questo voto ma hanno ben poco da festeggiare: per questi referendum hanno votato più elettori di quelli che hanno votato la destra mandando Meloni al governo nel 2022». Non solo il campo largo ne esce malconcio. Anche l'unità sindacale è andata in frantumi sulla campagna referendaria. La Cisl era schierata per l'astensione. Il flop al referendum fornisce l'occasione al governatore della Campania Vincenzo De Luca per regolare i suoi conti con Schlein (per via del terzo mandato): «C'è stato un elemento di ideologizzazione eccessivo ed è stato sbagliato. C'è stata una politicizzazione eccessiva ed è stato sbagliato». Il presidente del Pd Stefano Bonaccini non si nasconde: «Si è mancato l'obiettivo e quando oltre due terzi degli italiani non rispondono è necessario riflettere».
Tra gli alleati, i più agguerriti sono Renzi e Calenda, schierati per il no. L'ex rottamatore già di buon mattino aveva paventato la Caporetto: «Il quorum non ci sarà, come del resto era facilmente prevedibile vedendo i precedenti. Spero che sia chiaro che per costruire un centrosinistra vincente bisogna parlare di futuro, non di passato. Ingaggiare battaglie identitarie, infatti, fa vincere i congressi ma non fa vincere le elezioni: se vogliamo costruire un'alternativa a Giorgia Meloni bisogna essere capaci di allargare al ceto medio, non chiudersi nel proprio recinto ideologico. Sono convinto che riusciremo a farlo. Non dobbiamo pensare a costruire l'alternativa al governo Renzi del 2015».
Dal fronte di Azione il leader Carlo Calenda analizza: «Trasformare questo referendum in una consultazione contro Meloni è stato un clamoroso autogol». Mentre la collega di partito Elena Bonetti suggerisce: «I riformisti devono trovare il coraggio e la volontà di mettersi insieme».