Antonio Bozzo«Milano ha tutto. Ma tutti credono che abbia poco. Forse non è capace di comunicare i suoi contenuti. È una città vivissima culturalmente, artisticamente e anche dal punto di vista gastronomico». Chi lo dice? Il messicano Sandro Landucci. Un uomo potente, che in Messico possiede una casa editrice importante come la Mondadori in Italia e che porta il suo cognome. Un uomo curioso e con l'intraprendenza di chi non si accontenta mai. Landucci ha appena aperto il ristorante di alta cucina messicana Besame Mucho, in piazza Alvar Aalto, a Porta Nuova, un passo dal Pavilion Unicredit. «È la mia prima esperienza da ristoratore», racconta. «Con la mia azienda ho seguito gli ultimi tre Expo: Saragozza, Shanghai, Milano, portando contenuti nei padiglioni del Messico. A Milano abbiamo aperto il ristorante sul Decumano: un successo clamoroso che mi sembrava brutto veder finire con la chiusura della manifestazione. Così ho trasferito quel ristorante in città, nella parte di Milano più votata al futuro. I milanesi conoscono soprattutto la cucina tex-mex che al Besame Mucho non c'è. Nel mio ristorante, con cuochi a rotazione che vengono dal Messico, si mangiano le specialità degli Stati dell'Unione messicana. Piatti di mare e di terra che non hanno nulla da invidiare alle cucine stellate e alla varietà della cucina italiana». Landucci, vigile, governa con il sorriso («sto mettendo a punto la carta dei vini con il sommelier di Massimo Bottura»), conscio che questa attività è sì una sfida (vinta), ma non lo assorbirà del tutto. L'imprenditore ha 44 anni, 5 figli (tre da un primo matrimonio) dai 2 ai 15 anni, una moglie (Tatiana Bilbao), notissima architetta di Città del Messico. Come rivela il cognome, Landucci è di origine italiana. «Sono messicano da parte di mamma. Mio padre Claudio, romano, era un dirigente Olivetti che andò a lavorare in Messico per le Olimpiadi del 1968: adesso si gode la pensione. Ma nel Paese c'era già mio nonno, addetto nell'ambasciata italiana. Da ragazzo venivo spesso in Italia a trovare i nonni, trasferiti a Forte dei Marmi. Però in casa, a Città del Messico, non ho mai parlato italiano: papà usa solo lo spagnolo». Landucci passò tre anni a Milano, alla casa editrice Leonardo, galassia Mondadori. «Lavorai per imparare, tra i 19 e i 21 anni. Una bella esperienza che mi procurò tanti amici milanesi: con alcuni resto in contatto». Si è appena comprato una bicicletta. «Il modo migliore per girare Milano. Sono andato all'Hangar Bicocca, un posto incredibile. Come sono belli la Fondazione Prada e il nuovo museo delle culture, Mudec. Ma lì, a dire il vero, non ho visto ancora mostre memorabili».Le curiosità culturali di Landucci, editore e ristoratore, sono tante. La sua casa editrice fa libri illustrati, volumi d'arte (è stata tra i promotori della rassegna sui Maya a Venezia), testi di cucina, manuali. Si diverte, l'imprenditore, ad assaggiare i piatti del Besame Mucho: proprio adesso ha approvato un magnifico riso con polpo e cozze cosparso di cenere di chissà quale radice. Si entusiasma a raccontare dei cinque tipi di peperoncino e del rito dell'acqua calda aromatizzata con menta, cannella e una spruzzata di limone. «Come a casa mia, è un rituale che piace ai clienti. Anche se un'attrice famosa ha mandato indietro l'infuso, pretendendo un banale tè».Città del Messico e Milano sono metropoli molto diverse, unite dallo spirito delle grandi città. «Anche se qui devi spiegarti. Non è una città facile, per uno straniero, pur essendo cosmopolita. Ma è la città stessa che dovrebbe spiegarsi di più: ha tesori che il mondo invidia. Un po' più di orgoglio milanese non guasterebbe». Che a ricordarlo sia un messicano, sia pure padrone della nostra lingua, è una delle incongruenze che si verificano sotto il Duomo. Landucci, oltre che esploratore culturale, attraversa Milano in lungo e in largo con curiosità gastronomiche. «Ci sono buoni posti.
Per la carne vado alla Griglia di Varrone, per il pesce alla Langosteria, il ristorante preferito da mia moglie. E ho scoperto il miglior barman del mondo. Sta ai mixologist come il Bulli di Adrià ai ristoranti. Si chiama Marco, lavora per lo Speak Easy 1930. Il cognome? Non lo so».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.