Bollani, il virtuoso di Niguarda col pallino del Brasile

Il musicista si esibisce al Conservatorio. Una carriera poliedrica, da Rava a Chailly

Bollani, il virtuoso di Niguarda col pallino del Brasile

L'inesauribile e poliedrico pianista Stefano Bollani, anni 46 il prossimo 5 dicembre, milanese nato in zona Niguarda. A Milano ci passa poco tempo, sempre in giro com'è per concerti, ma quando transita c'è da starne certi: «incassa» anche qui tutto il successo che merita, del resto risulta una della più belle bandiere del jazz italiano nel mondo. Stasera andrà in scena dalle ore 21 - per la rassegna «JazzMi» - al Conservatorio «Giuseppe Verdi» dell'era Cristina Frosini; è l'ennesima conferma che ormai molti steccati sono caduti, pure a livello accademico (aspettiamo sempre si palesi un quartetto d'archi in un jazz club, perché no?). Da giramondo delle note, il virtuoso ogni tanto torna sui sentieri che preferisce, e anche quest'anno l'ha fatto, riprendendo il filone brasiliano. Ma ora una fotografia di colui che ebbe come mentore il maestro Enrico Rava.

Il personaggio, appare un po' come la sua capacità di improvvisare, all'insegna dell'apertura, la poliedricità e ancora, la generosità nel porsi. Stile virtuoso pieno di humour. Un «nomade della musica» - come lui stesso a volte si definisce - delle sue origini meneghine restano, tra le diverse cose, i ricordi della casa d'infanzia in via Lanfranco Della Pila e più recenti e forti le frequentazioni artistiche con il maestro d'orchestra scaligero Chailly (compresa una sua esibizione al «Concertone» di piazza Duomo, con la Filarmonica diretta proprio da Re Riccardo). Alla kermesse di questi giorni verso il gran finale - una delle pochissime realtà che appare come boccata di ossigeno per l'«improvvisazione» milanese e dintorni - il musicista continua nella proposta della musica «carioca», suo grande amore. Bollani in questo linguaggio ama sincretismo, ritmi e armonie differenti. Per dirne solo una: nel 2007, unico dopo Jobim, ha portato il suo pianoforte nella favela di Pereira De Silva. Dopo numerose e variegate esperienze il pubblico lo ha collocato come «capotribù» al centro di una tempesta ritmica creata da Thiago De Serrinha e Armando Marcal, della batteria di Jurim Moreira e del contrappasso di Jorge Helder.

In pratica, qui si parla pure del suo nuovo lavoro discografico - «Que Bom» - che il Nostro dalla primavera scorsa propone all'universo mondo dei suoi fan, e non solo. Il concerto è un'esperienza, davanti a un personaggio che egli stesso è ritmo, che gli esce ed entra nella pelle. In fondo, chissà, magari non si esagera: musicalmente parlando è l'italiano più brasiliano che c'è.

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