Via Brioschi, la condanna è definitiva

La Cassazione ha confermato la pena di 30 anni per Pellicanò

Via Brioschi, la condanna è definitiva

Trent'anni di carcere è la pena definitiva che dovrà scontare Giuseppe Pellicanò. Si chiude con la sentenza emessa ieri dalla corte di Cassazione la vicenda processuale della strage di via Brioschi. Tre persone morte, la moglie dell'imputato Micaela Masella e i due giovani vicini di casa Chiara Magnamassa e Riccardo Maglianesi, nell'esplosione della mattina del 12 giugno 2016. Una domenica mattina, il palazzo pieno di condomini ancora in pigiama o intenti a fare colazione venne sventrato dal botto. Tra i feriti anche le due bambine dei coniugi Pellicanò, che rimasero gravemente ustionate.

La Suprema corte ha respinto sia il ricorso del procuratore generale di Milano sia quello della difesa di Pellicanò, rappresentato dall'avvocato Alessandra Silvestri. E ha confermato appunto la condanna a trent'anni decisa dalla corte d'Assise d'appello milanese, che nell'ottobre del 2018 aveva ridotto l'ergastolo inflitto in primo grado dal gup. Le figlie del pubblicitario, accusato di strage, e di Micaela Masella sono affidate ai nonni materni. La famiglia della donna, parte civile nel processo, è assistita dagli avvocati Franco Rossi Galante e Antonella Calcaterra.

Pellicanò, secondo quanto ricostruito dalle indagini, non accettava di essere lasciato dalla compagna per un altro uomo. Aveva quindi deciso di aprire il rubinetto del gas durante la notte, saturando l'appartamento e facendolo saltare in aria deliberatamente. A innescare l'esplosione sarebbe stata la donna uccisa, nell'accendere la luce al risveglio. Il sostituto pg Daniela Meliota aveva fatto ricorso contro la riduzione della pena in secondo grado. Davanti alla corte d'Assise d'appello, nel chiedere la conferma dell'ergastolo, aveva sostenuto che quello di via Brioschi era stato «un femminicidio» dettato «dalla rabbia, dalla gelosia, dal senso di possesso. Dal rancore derivato dall'offesa dell'orgoglio maschile». Non solo. Un delitto messo in atto con modalità che hanno avuto conseguenze abnormi. I giudici confermarono nella sostanza la ricostruzione del gup Chiara Valori e affermarono che l'imputato ideò la strage «sicuramente anche delle figlie». All'imputato non vennero neppure riconosciute le attenuanti generiche e l'infermità mentale invocate dalla difesa. Pellicanò infatti ha sempre sostenuto di essere affetto da una grave forma di depressione.

Tuttavia la condanna venne sensibilmente ridotta grazie a un ricalcolo della pena inflitta per il reato

«secondario» di devastazione, considerato in quella sede «conseguenza diretta» di una azione unica del pubblicitario. Di conseguenza venne ricalcolata anche la pena principale. Nel proprio ricorso la difesa chiedeva l'assoluzione.

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