Cantiere in ritardo di un anno la Grande Brera è un miraggio

Il restauro di Palazzo Citterio era previsto per agosto ma si concluderà a fine mese. L'apertura slitta al 2019

Cantiere in ritardo di un anno la Grande Brera è un miraggio

Si può fare la Grande Brera «a porte chiuse»? La domanda è lecita e spontanea passando davanti ai civici 12 e 14, entrambi sprangati, di via Brera: lì si erge il settecentesco palazzo Citterio acquistato dallo Stato nel 1972 per risolvere i problemi di spazio della Pinacoteca. Era una delle «fissazioni» di Franco Russoli, sovrintendente dell'epoca, ed è il chiodo fisso del sovrintendente di oggi, James Bradburne. Sulle mura del palazzo un cartello recita, «fine lavori: 30 agosto 2017», data che è già una proroga visto che il restauro avrebbe dovuto concludersi il 25 febbraio. Dieci mesi fa. Ora, nuova proroga: il direttore Bradburne ha in mano una lettera della Soprintendenza regionale che annuncia la consegna del palazzo il 31 dicembre.

Ma i lavori, a che punto sono? Il critico d'arte Philippe Daverio (e non solo lui), in visita al cantiere, ha lasciato intendere «errori irreparabili».

Possibile? Bradburne ieri al museo indossava il gilet d'ordinanza per il taglio del nastro di Bottega Brera, «cult-shop», così lo ha definito, affidato a Skira in gestione. Nel negozio di 80 metri quadri che si affaccia sul cortile, spiccano oggetti di design, gioielli, chicche come la fragranza Rosa di Brera, libri d'arte e pareti con ritratti di Munari e Fornasetti. «Il 7 giugno apriremo al primo piano il caffè Fernanda, dedicato a Fernanda Wittgens, prima direttrice di Brera e prima in Italia a capo di un polo museale così importante», continua il direttore.

E poi via, con il programma del prossimo anno: le sale 10 e 11 (collezione Jesi e Vitali) dall'8 gennaio saranno chiuse, con la messa in deposito delle opere novecentesche in attesa della nuova ricollocazione a Palazzo Citterio, le sale napoleoniche saranno riallestite e pronte il 29 marzo con un nuovo dialogo dedicato all'amore, 35 quadri della collezione Jesi (De Chirico, Carrà, Morandi, De Pisis) voleranno dal 23 gennaio al 4 aprile a Londra perché a loro è dedicata la mostra-gioiello «The Enchanted Room: Modern Works from the Pinacoteca di Brera» alla Estorick Collection. «Un'occasione magnifica per promuovere Brera: che senso avrebbe tenere i quadri in deposito? » sorride a denti stretti il direttore.

Il punto è che il problema non avrebbe dovuto porsi, se i tempi di consegna di Palazzo Citterio fossero stati rispettati. E invece abbiamo un direttore che non vede il cantiere da quattro mesi e che, quindi, non fa ipotesi per il futuro. «Parlerò quando avrò in mano le chiavi del palazzo: mi daranno un edificio ristrutturato, ma dovrà essere trasformato in museo. Non è una semplice: avrò bisogno di un anno per allestire la Modern Brera, ovvero la collezione di Otto e Novecento, a Palazzo Citterio», dice. Nel frattempo, a metà aprile le sale 37 e 38 chiuderanno: andranno in deposito quadri-simbolo come Fiumana di Pelizza da Volpedo o Il Bacio di Hayez. Facciamo i calcoli: se sarà mantenuta la consegna di fine anno, Palazzo Citterio aprirà nei primi mesi del 2019, un anno dopo il previsto. «Ma il 2018 sarà l'anno dell'arte moderna e contemporanea: useremo di sicuro il Palazzo per eventi o mostre temporanee», annuncia Bradburne. Dubbi sul rispetto della tempistica annunciata dalla soprintendenza? «Non ne ho motivo», dice. Ne abbiamo noi: perché non gli è permessa la visita? In attesa di un cantiere che deve chiudersi ce n'è uno futuribile. Il pensiero del direttore è tutto per la cosiddetta «passerella di cristallo», tra la Pinacoteca e Palazzo Citterio. «È l'unica soluzione possibile per mantenere l'unità del museo.

Faremo un passo alla volta: concordando prima la soluzione migliore e poi mettendo a punto il sostegno economico. Il MiBact con Franceschini e il sindaco Sala hanno già dato parere favorevole», conclude James Bradburne. Un nuovo, infinito cantiere?

Francesca Amè

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