Una scoperta sorprendente nei depositi comunali, e un lavoro meticoloso e appassionato di ricostruzione: 3.788 schede di censimento, ognuna per un nucleo familiare, e 10.591 persone, gli ebrei di Milano,
Alla Triennale fino al 18 novembre si può visitare la mostra: «Ma poi che cos'è un nome?», dedicata al censimento degli ebrei a Milano nel 1938.
Non fu solo un passaggio burocratico, quello del 22 agosto 1938. Il censimento fu una cesura netta nella vita delle persone e nella storia del Regno d'Italia. Le leggi razziali furono la «macchia indelebile», ma nel viatico verso l'abisso il censimento fu il primo atto razzista e discriminatorio, formale e su scala nazionale, con cui il regime fascista colpì gli ebrei, che per la prima volta furono censiti separatamente dal resto della popolazione e per la prima volta furono censiti non come appartenenti a una religione bensì come appartenenti a una «razza». Fu l'atto preliminare e premonitore della più devastante azione di censura che regime avrebbe intrapreso pochi mesi dopo, con i provvedimenti per la difesa della razza, il regio decreto legge 1728 del 17 novembre 1938 con cui il governo mise al bando gli ebrei dalla vita pubblica del Paese, impose il loro allontanamento dai posti di lavoro, da scuole, enti, associazioni o circoli, arrivando all'annullamento di ogni diritto acquisito fino alla sostanziale cancellazione delle identità.
I nomi dei milanesi vittime della Shoah erano noti e sono andati a formare il «Memoriale delle vittime della persecuzione antiebraica 1943-45». I nomi che risultarono dal censimento erano di più e corrispondevano a quelli dei milanesi che avessero almeno un genitore ebreo (nella schedatura finì anche don Lorenzo Milani, la cui madre proveniva da una famiglia di ebrei boemi).
Adesso quelle identità ritrovate vengono presentate al pubblico in uno dei luoghi più significativi della cultura milanese. Ora quei nomi sono il cuore della mostra in Triennale, promossa dalla Fondazione Cdec insieme all'Università degli Studi, alla Cittadella degli Archivi di Milano e alla Fondazione Memoriale della Shoah.
Per decenni si è ritenuto che l'intero archivio del censimento milanese fosse andato perduto. La carte erano state rinvenute sorprendentemente negli scantinati del Comune nel 2007 e trasferite alla Cittadella degli Archivi nel 2013, ma nessuno sapeva della loro esistenza. Poi la svolta, grazie alla tenacia di Emanuele Edallo del Dipartimento di Studi storici dell'Università, e alla collaborazione del direttore Francesco Martelli. I documenti sono stati messi a disposizione e negli ultimi tre anni sono stati oggetto di un'accurata ricerca condotta da Edallo con Daniela Scala e Laura Brazzo della Fondazione Cdec. Grazie a questo lavoro oggi conosciamo finalmente non solo l'esatto numero delle persone censite, ma anche i loro nomi e i frammenti delle loro storie, sia precedenti che successive al 1938. E partendo dal database elaborato da Edallo con l'aiuto di alcuni studenti del Dipartimento di storia - che hanno fatto stage trimestrali in cittadella degli archivi - si è arrivati alla geomappa che individua l'indirizzo milanese di ogni persona censita. I tecnici dell'Unità Sit Centrale e toponomastica del Comune (assessorato Trasformazione digitale) hanno creato l'applicazione digitale geolocalizzando ogni censito sulla mappa. La mostra è originale e innovativa anche nell'allestimento. Un muro con tutti i nomi censiti ne è il cuore.
E gli elementi collocati nell'atrio della Triennale rappresentano anche fisicamente l'effetto di una separazione, che fu determinata dalla follia ideologica razzista e dall'indifferenza di tanti burocratici, banali esecutori.
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