Quando si ricorda la scomparsa di Antonio Custra non è mai la stessa ricorrenza dell'anno precedente, un anniversario che si trascina dietro il medesimo messaggio di un uomo assassinato mentre compiva il suo dovere. Un sacrificio che è un tutt'uno con una foto celeberrima. Un'immagine che tutti conoscono, diventata il simbolo degli Anni di Piombo e della degenerazione dello scontro politico a scontro di piazza, con molotov e pistole.
Ieri mattina, durante la messa celebrata in ricordo di Custra nell'auditorium della caserma «Annarumma» di via Cagni, sede di quel III reparto mobile, allora Terzo reparto Celere di cui faceva parte il vicebrigadiere ucciso, don Fabio ha ricordato i quarant'anni dalla morte del poliziotto, avvenuta il 14 maggio 1977 in via De Amicis durante una manifestazione indetta dai militanti della sinistra extraparlamentare.
«Mai indietreggiare dinnanzi a nulla - ha detto il parroco nella sua omelia -, soprattutto davanti alla confusione sociale di periodi storici come il nostro. Per questo il sacrificio di questo poliziotto non va dimenticato: appartiene a tutti noi. È così, infatti, che il ricordo dell'assassinio del vicebrigadiere della Celere mostra la sua aderenza ai nostri tempi, non è solo memoria storica, ma appartiene al presente».
Più tardi una corona di alloro è stata portata alla base della lapide affissa in via De Amicis 51, luogo degli scontri più violenti di quel 14 maggio.
«Custra e altri hanno pagato un tributo atroce - ha spiegato ieri mattina il questore Marcello Cardona a margine della messa in suffragio -. La polizia di Stato resta concentrata nella valorizzazione di tutto il personale che perse e perde la vita, perché quanto è accaduto e accade non vada mai dimenticato. Anche se sono passati troppi anni e lunghi iter processuali per esprimere una valutazione su quel preciso periodo storico. E certe prescrizioni sociali fanno parte del tempo».
Custra nel maggio 1977 aveva appena 25 anni; la moglie aspettava una bimba, nata un mese e mezzo dopo e che non avrebbe mai conosciuto suo padre. Il corteo di quella giornata che ha segnato la storia della polizia di Stato e quella del Paese, infatti, degenerò in una vera e propria guerriglia e gli autonomi iniziarono ad aprire il fuoco contro i poliziotti. Custra, schierato con il suo reparto, venne colpito al volto da un proiettile esploso dai manifestanti con una Beretta 7.65. che gli trapassò la visiera del casco, uccidendolo sul colpo. Quella bambina, nata orfana di padre e che ora è una donna, ha incontrato dieci anni fa, proprio sul luogo della sparatoria, Mario Ferrandi, militante di sinistra in seguito passato in Prima Linea (quindi dissociatosi), condannato per concorso nell'omicidio di Custra insieme, tra gli altri, a Giuseppe Memeo, l'autonomo con il volto mascherato, immortalato nella famosissima foto mentre impugna a due mani una P38. Un'immagine che rappresenta un'Italia ancora per molti, troppi versi misteriosa, sconosciuta e che tanti ancora preferiscono occultare dietro il velo di una finta redenzione. Lo dimostra anche il fatto che nel 2012, un altro degli uomini identificati tra quelli mascherati e fotografati quel giorno nell'atto di sparare agli agenti, Maurizio Azzollini, diventò uno stretto collaboratore dell'allora vicesindaco Maria Grazia Guida, durante la giunta Pisapia.
Quell'assunzione all'interno dell'amministrazione comunale, venne letta da molti poliziotti vecchi e nuovi, ma anche da tanta gente comune, come un insulto che snobbava il sacrificio di Antonio Custra e di quelli come lui, morti per tutelare la sicurezza di tutti noi. E la storia continua.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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