Dai romantici a Cattelan Il mito dell'India nell'arte d'Occidente

Al Lac di Lugano una straordinaria rassegna tra pittura, fotografia, filosofia e religione

Dai romantici a Cattelan Il mito dell'India nell'arte d'Occidente

Enciclopedica. Come altrimenti definire una mostra che parte con stampe e fotografie ottocentesche e termina con i dissacranti lavori di Maurizio Cattelan? Il tema è affascinante e non ancora troppo esplorato: il mito dell'India nella cultura occidentale, ovvero quanto religione, filosofia e cultura del subcontinente abbiano influenzato la nostra produzione artistica, dai primi dell'Ottocento ad oggi. S'intitola «Sulle vie dell'illuminazione» l'ampia indagine curata da Elio Schenini negli spazi del Masi, il Museo d'arte della Svizzera Italiana che si affaccia sul lago di Lugano (fino al 21 gennaio, masilugano.ch).

Concepita su due piani all'interno di un trimestre di eventi vari dedicati al Paese asiatico tra cinema, danza e musica nella sede del centro LAC Lugano Arte Cultura, la mostra è un viaggio dell'immaginario più che un viaggio in India. E questo è il suo bello: non una rassegna antropologica, ma una riflessione sul modo in cui l'Europa (e poi l'America) si sono lasciate affascinare dall'India. La tesi di Schenini è che il processo abbia una precisa data di nascita: il 1808, anno della pubblicazione del trattato «Sulla lingua e la sapienza degli indiani» scritto dal tedesco Friedrich Schlegel. Da quel momento, in Germania si diffonde l'idea che il sanscrito sia la lingua da cui tutto ha inizio, incluso il latino: un mito perfetto per il Romanticismo. Se per gli illuministi è la ragione che guida il mondo, i romantici sono sedotti dall'idea di uno spirito che possa essere educato per raggiungere l'illuminazione.

Al secondo piano del Masi comincia un percorso fatto di immagini (dipinti come quello di Edwin Lord Weeks o di Odilon Redon o di Carl Gustav Jung, il celebre psicanalista) ispirati alle prime foto provenienti da quei posti lontani. Si supera la visione dei vedutisti inglesi che documentano la natura e gli usi della colonia britannica per avventurarsi nel mito e non è un caso che dai loro quadri trassero ispirazioni il mitico Emilio Salgari, che mai mise piede in India, o il pittore francese Gustave Moreau, di cui a Lugano sono presenti tante tele intrise di atmosfere sognanti. Religione e danza (in mostra uno splendido bronzo ottocentesco di Shiva che balla) vengono declinati anche nei salotti d'Occidente, come testimoniano tante foto d'epoca. Alcune hanno per protagonista personaggi come la leggendaria spia Mata Hari. L'India è Paese complesso, e così la sua influenza su di noi: oltre al fascino esotico e all'opulenza in stile maharaja, dagli anni Venti è la componente ascetica quella che seduce gli intellettuali. Suggestiva la sala che espone il celebre manoscritto di «Siddharta» di Hermann Hesse, del 22, un romanzo che ha formato più di una generazione al mito del viaggio iniziatico. L'India dello yoga, degli ashram, della non-violenza di Gandhi ispirerà per tutto il Novecento la cosiddetta rotta dell' «hippie trail». Esposte le immancabili foto dei Beatles e della controcultura giovanile che cercava nei santoni (e nella droga indiana) un'alternativa al consumismo di massa. Non sarebbe infatti pensabile la psichedelia senza l'influenza dei colori indiani e non possiamo contare gli intellettuali italiani, da Pasolini a Manganelli, che subirono il fascino dell'India. Si esce dall'esposizione carichi di visioni che, al primo piano del museo, nella seconda parte della mostra (400 opere in tutto: richiede tempo) vengono reinterpretate dagli artisti contemporanei. Dall'assemblaggio colorato di Frank Stella, ai lavori ipnotici di Luigi Ontani che sorprende il visitatore con una enorme statua di un elefante in ceramica colorata o con fotografie ritoccate.

E poi ancora le foto-documentario di Sebastião Salgado e Ferdinando Scianna e Steve McCurry - scatti che ci parlano dei drammi e delle inconciliabili anime dell'India, tra maestà e miseria - fino allultima sala. Dove il grandioso lavoro di Anselm Kiefer, una tela fatta di «polvere di terra indiana», e la pensosa riflessione di Maurizio Cattelan datata 1999 ci dicono che l'India ha ancora tanto da dire.

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