A ben guardare, Matteo Renzi ha perso anche a Milano. Sì certo, il sindaco si chiama Beppe Sala ma la nuova geografia del potere comunale lo conferma: il segretario del Pd è finito in minoranza anche nell'unico grande Comune conquistato dal centrosinistra alle comunali, le elezioni che hanno assestato un colpo quasi «da ko» alle sue velleità da statista.
Renzi sta ancora al governo, si è detto, solo perché Sala ha sconfitto Stefano Parisi. Ma il sindaco si è ripetutamente e platealmente svincolato dalla sua ingombrante «tutela», nella giunta i renziani sono una presenza non egemone e nel gruppo sono nettamente in minoranza. Una situazione, questa, che prefigura sicuramente uno scenario imminente nella politica italiana. Milano, questo si sa, anticipa tutto. E anche di questo fenomeno Renzi, a Milano si può vedere una traiettoria molto nitida. Attraverso tre-quattro istantanee. Nell'autunno 2012, anno delle primarie perse (con Pierluigi Bersani) l'allora sindaco di Firenze riscuoteva grandi simpatie nella base del centrosinistra, ma lo stato maggiore del partito, locale o no, non lo degnava di uno sguardo. Per trovare un renziano a Milano si doveva andare a Cernusco sul Naviglio, a parlare con il sindaco Eugenio Comincini. Meno di un anno dopo, alle primarie per la segreteria del partito, complice la disfatta politica di Bersani il Pd cadeva nelle mani di Renzi. E nella Milano di sinistra, i renziani erano diventati una bella truppa. Terzo scatto: Europee 2014. Il Pd a Milano ottiene uno storico 45 per cento e si fa fatica a trovare un non renziano, anche fra coloro che avevano snobbato, o addirittura irriso, quel ragazzo in grado di passare in pochi anni dalla provincia di Firenze a Palazzo Chigi. Ora sembra di vedere il film opposto. La traiettoria del segretario-premier sembra aver imboccato il viale del tramonto ed è probabile che da qui a qualche mese solo gli antichi amici, come Comincini, resteranno disposti a definirsi renziani. Si potrebbe discutere a lungo, a lungo si è già discusso, sul profilo del sindaco. Sicuramente Sala era considerato renziano all'inizio della sua avventura politica, oggi sembra aspirare alla successione di Giuliano Pisapia come baricentro di un centrosinistra largo in cui la parte del leone la fa la sinistra Pd. Sicuramente renziana è la vicesindaco Anna Scavuzzo, ma il vero uomo forte di Palazzo Marino oggi si chiama Pierfrancesco Majorino che renziano non è. Renziano, anche se non della prima ora, è l'assessore Pierfrancesco Maran. Qualcosa di simile si può dire per Carmela Rozza e per Marco Granelli che però arriva in giunta come sostenitore di Rosi Bindi. Ma Filippo Del Corno (sinistra per Milano) e Cristina Tajani (ex Sel) hanno un'altra storia. Gabriele Rabaiotti, Majorino lo voleva city manager, Lorenzo Lipparini è radicale. Gli altri sono tecnici. E i consiglieri? Sicuramente renziano il capogruppo, Filippo Barberis, sicuramente non renziano il presidente del consiglio comunale Lamberto Bertolè. Esattamente come non lo sono Diana De Marchi, Paola Bocci, David Gentili, Carlo Monguzzi, Natascia Tosoni e Sumaya Abdel Qader, tutti più o meno vicini a sinistra interna, «sinistra dem», majoriniani o ex civatiani. A sinistra si collocano anche Aldo Ugliano, Elena Buscemi e - sembra - Angelo Turco. Bruno Ceccarelli aderisce a «Sinistra è cambiamento», Ariana Censi è una fedelissima di Dario Franceschini. Difficile definire renziana Milly Moratti.
Forse possono essere «arruolati» Rosario Pantaleo e Beatrice Uguccioni. E, chissà, Roberta Osculati che si dichiara «società civile». Considerando Alice Arienta, Carmine Pacente, Simonetta D'Amico e Angelica Vasile si arriva a stento a un terzo del Pd.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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