Fasti e crisi del «Celeste impero»

di Livio Caputo

Quando, il 23 aprile 1995, con Dini presidente del Consiglio, Roberto Formigoni fu eletto per la prima volta governatore della Lombardia, faceva ancora parte del Cdu di Rocco Buttiglione, che aveva appena sfiduciato il primo governo Berlusconi, e «passò» solo perché Forza Italia decise di appoggiarlo egualmente pur di fermare la sinistra. Cinque anni dopo, entrato infine nel partito del Cavaliere e in alleanza con la Lega di Bossi, ottenne il suo successo più clamoroso (62,7%), ripetuto poi nel 2005 (53,2%) e nel 2010 (56%), sempre in alleanza con i lumbard. Nella storia d'Italia, nessuno ha mai «regnato» su une regione per diciassette anni consecutivi, e non c'è pertanto da stupirsi che Roberto, detto «il Celeste» anche per le leggende attorno alla sua presunta castità, abbia avuto i suoi alti e i suoi bassi, culminati purtroppo in dimissioni anticipate a causa dalla moltiplicazione delle inchieste sui consiglieri della sua maggioranza e di una serie di scandali sulla gestione della sanità che hanno gettato un'ombra anche sulla sua correttezza personale. Sul piano penale, tuttavia, tutto si è risolto finora in una condanna per aver diffamato i radicali e a un paio di inchieste tuttora aperte. Pertanto è molto dubbio che l'abbandono anticipato del nuovo Palazzo Lombardia, che Formigoni ha fortemente voluto nonostante il forte investimento che ha richiesto, segni anche la fine della sua carriera politica, visto che ha appena 65 anni e non ha mai nascosto le sue ambizioni nazionali e addirittura europee.
Credo che tutti i lombardi, perfino coloro che lo avversano da sempre e hanno scritto su di lui articoli e libri al vetriolo, debbano riconoscere a Formigoni almeno due meriti importanti: una amministrazione nel complesso efficiente, con un costo per ogni cittadino inferiore a quello di tutte le altre regioni e una sanità che, coniugando (non senza problemi, vedi casi Maugeri e San Raffaele), il pubblico e il privato, ha raggiunto livelli di efficienza assoluti, tanto da attirare pazienti non solo dal resto d'Italia, ma addirittura dall'estero.
A parte i recenti problemi giudiziari, sulla gestione di questa sanità pesa tuttavia un'ombra pesante: nel corso degli anni, Formigoni è stato accusato di averla «appaltata» quasi in esclusiva agli uomini di Comunione e Liberazione, e di averlo fatto escludendo figure altrettanto autorevoli e capaci ma estranee al movimento di Don Giussani, cui il governatore appartiene fin dalla prima gioventù.
L'aperta adesione a CL e i frequenti scontri con l'ala laica e liberale, prima di Forza Italia e poi del Pdl, hanno fatto sì che Formigoni non abbia mai avuto una vera posizione di potere all'interno del centro-destra.
Molti dicevano che, nel profondo dell'animo, è rimasto un democristiano, e un po' ne diffidavano.

Perciò, indipendentemente da chi vincerà le prossime elezioni, la sua uscita di scena - o meglio - il suo riposizionamento all'interno della scacchiera della politica, è destinata a provocare in Regione molti, moltissimi cambiamenti.
Anche se altri rimarcano come dopo il «ventennio» formigoniano prima che il nuovo governatore si impadronisca della macchina regionale passeranno mesi. O anni.

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