Ogni anno sono «soltanto» una settantina i milanesi che chiedono di essere risarciti perchè il loro processo è durato troppo a lungo: e sembrerebbero tanti, se non li si confrontasse con i quindicimila di Napoli. Allo stesso modo, è vero che a un cittadino milanese impegnato in un processo civile può capitare di vedere la sua causa rinviata al 2014: ma la stessa causa a Roma o a Venezia può finire al 2017 o al 2018. Insomma, nel panorama disastrato della giustizia italiana, a Milano va meglio che altrove. Qui, da un paio d'anni a questa parte, il numero dei fascicoli arretrati non aumenta, e anzi si stanno iniziando a svuotare gli armadi. E questo nonostante la crisi economica abbia aumentato ulteriormente il numero dei cittadini che chiedono giustizia: a partire dalla cause di lavoro, che si sono moltiplicate esponenzialmente. Oggi, davanti alla sezione Lavoro della corte d'appello sono pendenti 7.035 cause.
É un bilancio positivo, alla fine, quello che il presidente Giovanni Canzio presenta ieri dell'attività negli ultimi dodici mesi della Corte d'appello milanese. Il bilancio non nasconde le zone critiche, come appunto quella della sezione lavoro. Ma Canzio rivendica l'innesco di un processo virtuoso. E soprattutto rivendica la qualità delle sentenze emesse dai giudici milanesi, perchè «non interessa una decisione qualsiasi ma quella più possibile giusta, corrispondente alla verità dei fatti». E le statistiche dicono che solo il 20 per cento delle sentenze milanesi di secondo grado vengono impugnate in Cassazione, e di queste solo il 14 per cento annullate.
E questo, dice l'alto magistrato, «avviene in una realtà giudiziaria che non può essere paragonata a quella delle altre città». A Milano prendono forma i precedenti nel diritto penale e civile dell'economia che faranno poi da scuola al resto del paese: da Samsung, a Google, al processo sui derivati bancari, è Milano a indicare la strada. Sono, e Canzio lo sa bene, i casi famosi, quelli che finiscono sotto i riflettori, e cui si investono risorse.
«Ma non sarebbe serio dire che si può fare un processo in un anno», dice il presidente della Corte. «Io credo che oggi sia nella giustizia penale che in quella civile Milano abbia tempi accettabili».
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