Che Milano si sia sentita un po' trascurata dal Papa è qualcosa di più di un'impressione, è un sentimento che dà ragioni per riflettere. Forse siamo una periferia meno bisognosa di altre? O possiamo imparare dall'attesa una virtù poco ambrosiana come la pazienza? Enigmi che si scioglieranno con la visita del Papa. C'è ancora tanto tempo davanti, è vero, non siamo in Avvento e il Papa arriverà in piena Quaresima. Mancano cinque mesi.
Eppure i preparativi sono già partiti. Avere il Pontefice a Milano non è cosa da tutti giorni: in epoca moderna Milano ha visto solo Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. E se la trepidazione è alta quando arriva il Dalai Lama - e lo abbiamo appena sperimentato - che conta un numero di seguaci più esiguo, figurarsi quando a muoversi è il vescovo di Roma. Per chi crede è il vicario di Gesù Cristo, per chi non crede il successore di Pietro e il sommo pontefice della Chiesa universale. E soprattutto è un uomo comunicativo e imprevedibile come Francesco.
Sapere che cosa ha da dire a Milano, a questa città diversa da ogni altra, è una domanda che ci poniamo credenti e non credenti. Quali consigli vorrà darci? E quali rimproveri regalarci? Benedetto XVI, a Milano per la Giornata mondiale della famiglia nel maggio 2012, poco prima della sua rinuncia, definì i vescovi lombardi «cuore credente d'Europa». Chissà quanto sarà simile l'opinione di Francesco, il cui pontificato è così poco eurocentrico da trasformare molti di noi in fratelli del figliol prodighi che si sentono traditi.
È vero che Bergoglio ha scelto un milanese, monsignor Renato Corti, braccio destro di Martini, come uno dei 17 cardinali (sia pure senza diritto di voto) che saranno creati il 19 novembre prossimo e che aveva voluto lui già per le meditazioni della Via Crucis al Colosseo nel 2015.
E un altro uomo chiave in Vaticano, don Dario Viganò, prefetto della segreteria per la Comunicazione, è di origini milanesi (anche lui ordinato da Martini). Ma sono come fiori colti da un giardino. Ora tutto il giardino aspetta acqua.
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