Per guidare un barcone lungo 42 metri e largo quattro e mezzo sotto ponti angusti, senza freni e motore, ma spinti dalla corrente a volte impetuosa, serve molto coraggio o molta devozione, eppure a Milano c'è chi lo faceva tutti giorni, fino al 1979.
Erano i barcaioli del Naviglio grande, che portavano sabbia e ghiaia dalla valle del Ticino. Di loro si sono ormai quasi perse le tracce, ma gli ultimi due barconi sono ancora al loro posto, lungo la sponda del Naviglio, e a custodirli ci pensa Carlo De Rose, un calabrese milanese d'adozione che da 22 anni difende gelosamente quello che resta di una delle tradizioni milanesi più autentiche e antiche.
«Partivano alle due di notte e il viaggio durava sette-otto ore. Da Castelletto di Cuggiono fino alla Darsena di Milano sono 50 chilometri circa. Il tratto fino a Abbiategrasso era quello davvero pericoloso perché l'acqua è più scorrevole, quindi tutti e due i barcaioli pensavano soltanto alla guida, mentre da Abbiategrasso in poi, arrivando in Darsena, l'acqua è molto più dolce, viaggiava più lentamente, quindi uno teneva il timone e l'altro spianava il materiale».
Due uomini per un carico di circa 130 tonnellate, pari a sei camion di oggi, che arrivava direttamente nel cuore della città, senza inquinare e senza fare rumore. Una magia colpevolmente dimenticata proprio ora che il tema ecologista tiene banco. Ora il vecchio porto, che nel 1953 era ancora il tredicesimo in Italia per volume di merci ricevute, è una zona praticamente abbandonata, ma entro il 2015, grazie all'Expo, dovrebbe tornare agli antichi splendori nella speranza che anche per i barconi ci sia una nuova vita, questa volta legata al turismo.
Il fascino di usare le vecchie vie d'acqua per raggiungere il centro, il mistero delle cascine appena fuori città, i campi di nuovo coltivati, quel senso di continuità con quello che era la norma per i nostri nonni, può davvero essere una carta in più che Milano potrà giocare sul grande tavolo dell'esposizione universale del 2015.
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