I dottori del Trivulzio: "Un trauma quei morti. Abbiamo fatto il massimo"

Riaprono Cure intermedie e Riabilitazione oncologica: «Questi pazienti sono dimenticati»

I dottori del Trivulzio: "Un trauma quei morti. Abbiamo fatto il massimo"

Pazienti fragili, anziani e non, dimessi dagli ospedali dopo le cure per malattie gravi anche oncologiche ma ancora bisognosi di assistenza e non pronti a tornare a casa. Sono persone lasciate sole da un sistema sanitario sopraffatto dalla pandemia. Per questo il Pio albergo trivulzio ha deciso, con tutte le precauzioni anti Covid-19, di riaprire da domani ai ricoveri nei reparti di riabilitazione oncologica e delle altre Cure intermedie (separati dalla Rsa). «Non certo per fare cassa, piuttosto per offrire continuità di cura a questi pazienti dimenticati», rivendicano i responsabili dei reparti e i rappresentanti dei medici del Pat. I sindacalisti aggiungono: «Qui facciamo squadra, il nemico di tutti è il Covid, non questo o quel dirigente...».

I pazienti positivi al Coronavirus, naturalmente, non possono entrare. Per gli altri torna in funzione un reparto specializzato nell'assistenza e riabilitazione di pazienti oncologici. Potrà accogliere fino a 60 malati. «La domanda di cura dei pazienti oncologici è molto pressante spiega Pierluigi Rossi, direttore del Dipartimento sociosanitario del Trivulzio -. Chi è affetto da una patologia oncologica è stato doppiamente penalizzato dalle difficoltà legate alla pandemia in virtù di una patologia che necessita cure costanti e non procrastinabili e stiamo valutando di adibire un secondo nucleo nella sede milanese per ospitare un maggior numero di questi pazienti, come quelli in carico ai servizi ambulatoriali delle oncologie, oggi sulle spalle dei medici di medicina generale e delle famiglie». I pazienti dovranno risultare negativi a due tamponi nelle ultime 48 ore, staranno in stanze singole e in totale isolamento. Una volta entrati, saranno sottoposti a un nuovo test molecolare, che sarà ripetuto ogni settimana. Ripartono allo stesso modo i ricoveri nelle altre Cure intermedie. Le loro sono esigenze di cura urgenti: oltre alla riabilitazione oncologica, anche cardio-respiratoria, neuromotoria, ortopedica, nutrizionale, psicologica. Aggiunge Rossi: «La domanda di presa in carico di pazienti fragili, affetti da patologie non correlate al Covid o già guariti da esso cresce esponenzialmente». Riapre infine l'hospice, sempre a pazienti negativi o negativizzati.

I medici del Trivulzio si sono impegnati per arrivare a tale risultato. Vivono e lavorano tra il dolore per i mesi terribili del picco di morti e l'orgoglio di riaffermare il proprio ruolo. Marco Froldi è dall'inizio di novembre il nuovo responsabile di Geriatria e Cure intermedie cardio-pneumologiche. «Che situazione ho trovato? Molto migliore di quanto mi aspettassi, lo dico dopo aver lavorato come tanti in condizioni critiche in primavera. Al Trivulzio ho trovato persone attente alle linee guida, sia nei reparti sia fuori». Il professor Froldi è tra i primari che hanno lavorato per riaccogliere i pazienti doppiamente fragili: «Un servizio essenziale, rivolto a malati non di Covid ma altrettanto bisognosi di cure». Come lui Sonia Baruffi, responsabile del centro di riabilitazione oncologica «D.M. Turoldo» e al Pat da oltre vent'anni: «Accogliamo pazienti non solo anziani, siamo gli unici in regione per quanto riguarda molti aspetti del recupero post ospedaliero. Nei mesi peggiori dell'emergenza la mia Unità è stata praticamente Covid free e abbiamo dato continuità di cura ai degenti. E invece all'esterno avevamo il marchio di quelli che li lasciavano morire...». Aggiunge Baruffi: «I malati oncologici in particolare in questo momento sono dimenticati, perciò vogliamo riaprire». Antonella Saluzzi si è specializzata in Geriatria al Pat ed è stata assunta a marzo: «Mesi di smarrimento per noi medici della Rsa - racconta -, la malattia cambiava volto ogni giorno. Con terapia identica e stesso quadro clinico succedeva che un paziente si salvava e un altro moriva in 24 ore. Però è stato fatto il massimo e ho sempre trovato un punto di riferimento nei miei superiori».

Conclude la dottoressa Rossella Velleca: «Veder morire un paziente in Rsa è diverso dal perderlo in ospedale. Conosciamo i nostri pazienti e i familiari da anni. Quell'ondata di decessi è stata un trauma. Come lo è stato telefonare a un parente per dirgli: Mi dispiace, ma non puoi stare con tuo papà che muore».

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