Imprese, i trentenni milanesi falliscono prima degli stranieriLa ricerca

Li chiamano «giovani» anche se non sono più. Li hanno definiti la «generazione perduta», «mille euro», «bamboccioni» o «choosy» a più riprese. Sono quelli che hanno fra i 30 e i 40 anni «invisibili alle politiche cittadine». Su di loro si è concentrato il «Rapporto sulla città Milano 2013», a cura di Rosangela Lodigiani presentato ieri alla Fondazione Ambroasianeum. Una fotografia ampia dove ad esempio gli stranieri che aprono un'impresa rischiano di fallire meno dei loro coetanei italiani. Dopo 36 mesi di attività sopravvive il 69% delle imprese con titolari stranieri e il 63,5% di quelle italiane. Sono 180.000 le persone tra i 35 e i 44 anni e per loro la prima difficoltà è la stabilità lavorativa. Solo il 21% di chi è andato all'estero e poi è tornato ha un lavoro a tempo indeterminato. «Spesso - è stato sottolineato dalla Lodigiani - le politiche locali guardano ai ragazzi fino ai 35 anni di età o dopo i 45 anni. Quindi c'è un gap intermedio di 10 anni, dove le politiche non intervengono e le persone in difficoltà sono lasciate da sole». Per queste persone tra i 35 e i 45 anni, secondo la ricerca, la difficoltà maggiore è trovare la stabilità. Tanto che il 38% di quella che viene definita la «generazione perduta» è fatto di «logorati», precari di lunga data, stanchi e demotivati, costretti a diventare lavoratori autonomi perché aprire una partita iva èa l'unica chance per continuare a lavorare.

Un trentenne su 6 fa fatica a creare relazioni solide a Milano perché se da una parte offre molto, dall'altra resta una città difficile. Con affitti troppo cari e pratica di contratti in nero «rispetto ai quali viene denunciata una mancanza di politiche pubbliche che permettano di accedere a mutui più equi».

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