«Io, fuori dalla tempesta grazie a Shakespeare»

Striano al Parenti con la sua storia: «In scena il carcere, ma con un messaggio di speranza»

Antonio Bozzo

«Shakespeare è il mio santo, e io sono un miracolato. Mi diceva: ti vuoi salvare? Leggimi e esci dalle tragedie. Così ho fatto». Un approccio di questo tipo alle opere del Bardo è unico. Salvatore Striano lo sa. Ragazzo della malavita, diventato violento per difendersi dalla camorra, Striano ha trovato in carcere il filo che lo ha salvato. Oggi è un attore apprezzato (anche al cinema, ha fatto «Gomorra», dal romanzo di Saviano), un completo uomo di teatro, uno scrittore.

Al Franco Parenti, dove è in scena con «Dentro la tempesta» (fino al 15 aprile), la sala viene giù dagli applausi ogni sera: uno degli spettacoli più veri e toccanti della stagione. Striano lo interpreta - con Carmine Paternoster e Beatrice Fazi - e lo dirige, con l'aiuto di Marta Paci. Non solo: il lavoro è tratto da «La tempesta di Sasà», un suo libro. «Lo spettacolo è stato creato come un fatto di speranza, riscatto, rinascita. Lo spettatore se ne torna a casa con la sensazione di riconquistare una forza perduta», dice Striano. «Il carcere può stare dentro ognuno di noi: un matrimonio sbagliato, le costrizioni della vita. In scena due carcerati si parlano dalle celle, simili a scatole beckettiane. Non si vedono mai. Vanno a finire in fondo al pozzo, lo raschiano, in preda all'alcol e agli psicofarmaci. Finché gli mettono in mano un copione e allestiscono La tempesta, di Shakespeare, grazie a un'operatrice che li appoggia. Di solito si porta il teatro in carcere, noi portiamo il carcere a teatro».

La storia è ispirata alla vita di Striano. «Ma il primo copione che ho letto era Napoli milionaria, di Eduardo De Filippo. Volevano farmi fare, in un carcere maschile, il ruolo di Donna Amalia. Mi rifiutai per non diventare lo zimbello dei detenuti. Ma una notte lessi il copione - ricorda l'attore - Restai colpito dalla scena in cui Eduardo, tornato dalla guerra, chiede alla moglie, diventata prostituta, che cosa avesse fatto. Lei risponde: mi sono difesa. Mi attaccai alle sbarre della cella e pieno di dolore urlai verso mia madre, come se fosse lì, anch'io, mamma, mi sono difeso. Capii l'enorme potere di rivelazione del teatro. Poi lessi Shakespeare e siamo qui».

Lo spettacolo diventerà un film. «Abbiamo venduto i diritti a Minerva. Al cinema raggiungeremo moltissimi spettatori, ma il teatro è speciale, dobbiamo frequentarlo sempre di più. Io mi considero un artista socialmente utile, non voglio fare il buffone, ho già dato, pagandone le conseguenze. Faccio matinèe per le scuole. I ragazzi devono capire che la scuola più fatiscente è meglio della strada. E che servono scuole meno simili a carceri, e carceri più simili a scuole».

Il santo Shakespeare è la lanterna per illuminare le oscurità umane, sostiene Striano. «Quanti Amleto ho visto nella camorra. Quanti Macbeth, pronti a tutto per il potere. Quanti Giulietta e Romeo, impediti nell'amore per le famiglie in guerra.

I personaggi di Shakespeare nella malavita sono la norma. Li conosco bene. Immaginate come mi sento oggi che mi pagano per portarli in teatro. In scena faccio quel che ho sempre fatto, ma adesso senza far male a nessuno».

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