L'artista controcorrente che disegnava la bohème della vita

In mostra a Palazzo Reale 250 opere tra dipinti e «affiche» dalla Biblioteca di Francia

Lucia Galli

Si vendicò con l'arte. E come ogni nemesi che si rispetti è stata lunga e consumata fredda. Henri de Toulouse Lautrec approda a Milano, nella mostra che palazzo Reale gli dedica da oggi al 18 febbraio 2018, per raccontare il suo «Mondo fuggevole», claim dell'esposizione. «Relegato alle avanguardie, snobbato dai contemporanei, anche quando fu accolto fra i big del secondo Ottocento, la sua modernità gli valse spesso definizioni tranchant e poco lusinghiere», spiegano i curatori. «Macchiettistico, decorativo»: mai aggettivi furono meno adeguati a descrivere quel demi monde che ai piedi di Mont Martre e nelle viscere di Pigalle, Toulouse Lautrec aveva saputo penetrare a colpi di pennellate e verità. Via l'ideale e la suggestione impressionista, dentro il reale. Ad ogni costo e per quanto brutto potesse apparire. Tu chiamala, se vuoi revanche per un ragazzo di ottimi natali e grandi mezzi, segnato però dal destino fin dal quel dna che non lo fece mai diventare alto, ma grande, questo sì. Eterno fanciullo d'aspetto, uomo profondo, ironico, a tratti «maledetto» nell'animo. Lui era quel che dipingeva: nell'unico autoritratto, anch'esso esposto fra le 250 opere in mostra a Milano, il suo sguardo parla più di mille biografie. La mostra, promossa da Comune, - Palazzo Reale in collaborazione con Giunti Arte Mostre Musei ed Electa è curata da Claudia Zevi e da Danièle Devynck, direttrice del museo di Albi, patria del pittore. Gran parte delle opere fra cui 35 dipinti e 22 manifesti con ricco corredo di bozzetti preparatori - arrivano dal suo paese natale, altre arrivano da Londra, Houston, Washington e Sao Paulo e da una corposa collezione privata. La biblioteca nazionale di Francia ha messo a disposizione la sua raccolta di affiches ed è emblematico ricordare che fu questo l'unico lascito recepito dalla Francia alla morte dell'artista, quando i genitori tentarono invano di donare le opere del figlio alle istituzioni. «Toulouse Lautrec spiegano gli organizzatori ha mescolato le varie scuole senza mai aderire in toto ad una, come in un cocktail dai mille sapori». Già, lui che non possedette mai una macchina fotografica, dipingeva come se scattasse istantanee. Interessato alla vita, goloso della realtà. «Il pittore paesaggista diceva lui non è che un bruto: solo la figura esiste». Nella grande sala le note del Can Can sottolineano la galleria della sua varia umanità, che non è fatta solo di donne. Ci sono i flaneur dell'epoca come Aristide Bruant con la sua sciarpa rossa ed un tabarro troppo grande e poi quell'ex galeotto di Albert Caudiex, star dei café chantant. Il catalogo delle donne si apre con un contrasto fra la «vestitissima» signora che arriva da Belgrado e una ballerina in collant nere e poco più per dar spazio, poi, ad un'ordinata rassegna. Ci sono le grandissime, da Jane Avril a Cleopatre Gazelle, passando per Yvette Guilbert immerse fra le note delle canzoni della belle epoque. C'è la «Goulue» che proprio il pittore convinse ad esibirsi al Moulin Rouge. Ma fra le grandi c'è anche quella lavandaia che ogni sera danzava indossando gli abiti dei clienti. Sguardi, espressioni così vere da somigliare alle foto stereoscopiche che, esposte accanto ai quadri, mostrano scene di vita quotidiana da un bordello parigino. Accanto alle tele, in una sezione «a luci rosse», debitamente segnalata, si può vedere, per un paragone con quel Giappone che tanto influenzò la pittura dell'ottocento, l'intera serie di vedute erotiche di Utamaro. Per concludere che fascino e, forse, pure malinconia, non hanno latitudine.

Una serie di eventi completa la visita: la fondazione Cineteca Italiana presenta, fino al 26 ottobre al museo interattivo del Cinema, quattro pellicole la rassegna sulla Parigi dell'epoca, fra cui «Lautrec» (1998) di Roger Planchon, mai distribuita in Italia.

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