Un assessore e un sacerdote. Come dire il diavolo e l'acqua santa, almeno di questi tempi in cui il buon nome dei politici viene spesso macchiato da inchieste e comportamenti non proprio santi. Eppure Simone Maggioni, nato il 24 marzo del 1981, ha unito le due vocazioni. Prima la passione politica, che a 18 anni l'ha portato a essere uno tra i più giovani consiglieri d'Italia e assessore alla Cultura.
Accadeva in un paesino della Brianza, san Lorenzo in Castello. E ancora lì, mentre si impegnava per i cittadini dal Palazzo del Comune, è diventata chiara la sua chiamata al sacerdozio. «Difficile tirare una linea di separazione. A giugno del 2009 è scaduto il mio mandato come assessore e a settembre ero già a Venegono sui banchi del seminario. Frequentavo la Facoltà teologica e anche gli studi mi hanno fatto approfondire la mia scelta di fede» racconta don Simone, uno dei venticinque nuovi sacerdoti ambrosiani ordinati in Duomo dall'arcivescovo, Angelo Scola. Con lui ci sono il medico e l'architetto, il ferroviere e lo studente, l'avvocato e il ragioniere. Portano la loro vita nella nuova vita: adesso sono sacerdoti, consacrati «per la salvezza di tutti gli uomini». Parole da far tremare i polsi.
Don Simone ha messo insieme la politica e la fede vissuta. Un puzzle difficile? «La politica non è una cosa sporca, non è da evitare. Si può, anzi si deve vivere in prima linea come cristiani convinti. Direi che è dovere di un cristiano impegnarsi in questo senso. Io ero in una lista civica. Ma l'appartenenza politica rimane alla scelta personale, purché i programmi siano compatibili con il Vangelo. Tutto ciò che riguarda l'uomo ha a che fare con Cristo e così anche amministrare». Ormai non cura più l'amministrazione, ma le anime. È stato destinato alle due parrocchie di Pogliano. Come ha capito che la sua vocazione più profonda era il sacerdozio? «È una cosa che è maturata nel servizio, perché io la politica l'ho sempre vissuta così. Ero contento allora ma adesso di più: mi sento pienamente realizzato. Il mio modello? è stato il mio vecchio parroco. So che non è famoso, ma non importa. Lui ha instillato in me il desiderio del sacerdozio».
Don Simone è uno dei venticinque uomini che hanno dato alla propria storia un corso molto speciale. Un impegno «per tutta la vita» nel «servizio del popolo di Dio» proclamato ad alta voce, pubblicamente, in una cattedrale talmente piena da lasciar fuori alcuni parenti che non si sono presentati all'appuntamento con il dovuto anticipo. Una promessa di obbedienza filiale al vescovo e ai suoi successori: e la parola obbedienza è anche lei quanto mai desueta e controcorrente. Eppure esistono questi venticinque nuovi preti e hanno un'aria molto felice mentre rispondono «Eccomi». E alla fine, quando volano in alto, nel più classico dei riti popolari.
Età media trent'anni, una stagione diversa da quando si entrava in seminario ancora bambini. Se il più giovane ha 24 anni e pensava alla tonaca già da quando era piccolo, ci sono anche due cinquantenni. Professioni di ogni genere alle spalle e diverse estrazioni sociali. Scelte compiute nel pieno della maturità. Il più anziano, Marco Frediani, ha 54 anni: è stato operaio in fabbrica, poi assistente sociale e monaco camaldolese. Un passaggio graduale eppure sconvolgente. Adesso è sacerdote, con un impegno bello e difficile: occuparsi della pastorale dei rom. Più brusca, ma solo in apparenza, la svolta di Patrizio Croci, quasi 53 anni: sarà cappellano in un ospedale di Legnano, e fino a pochi anni fa, quando è entrato in seminario, era un grafico free lance. Don Fabio, 30 anni, lavorava come elettricista alle Ferrovie Nord.
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