L'imam terrorista di viale Jenner espulso dall'Italia

L'imam terrorista di viale Jenner espulso dall'Italia

MilanoVolo diretto Roma-Il Cairo per l'imam terrorista di viale Jenner: con buona pace del Tar della Lombardia e del Consiglio di Stato, che gli avevano concesso lo status di rifugiato politico; e con buona pace (si spera) anche dei fedeli della moschea che due venerdì fa si erano riuniti in preghiera al Palasharp per chiedere che Abu Imad rimanesse al suo posto. Invece nei giorni scorsi un decreto del ministro dell'Interno ha messo bruscamente fine all'esperienza italiana di Arman Ahmed El Hissini Helmy (questo il nome anagrafico del predicatore) espellendolo dall'Italia con effetto immediato, e riconsegnandolo alle autorità del suo paese. Sarà il governo egiziano a decidere ora che fare di Abu Imad. Sotto il regime di Hosni Mubarak avrebbe forse rischiato pesante, visto che tra i reati per cui in patria era ricercato c'era un progetto di fare la pelle proprio a Mubarak. Ma il rais è in galera, al Cairo comandano i fratelli musulmani. E nel nuovo corso integralista seguito alla «primavera araba» Abu Imad dovrebbe trovarsi a suo agio.
A Milano, dove ha predicato per un decennio nella più importante moschea della città, Abu Imad - un signore dai modi apparentemente pacati, quasi sempre disponibile al dialogo con i giornalisti - aveva fatto di viale Jenner un centro di reclutamento e finanziamento della guerra santa internazionale. In questo si era dimostrato un buon erede dell'imam precedente, che aveva lasciato l'incarico per andare a combattere e morire in Bosnia. Le indagini della Procura di Milano avevano accertato che - tranne l'ultimo periodo, quando le sue posizioni si erano fatte più moderate - a Milano Abu Imad era stato un punto di riferimento prezioso per il terrorismo internazionale: non diversamente dal suo collega Abu Omar, imam della moschea di via Quaranta, divenuto famoso in tutto il mondo per essere stato rapito dalla Cia nel febbraio 2003.
Mentre Abu Omar veniva inghiottito dalle carceri egiziane, Abu Imad continuava tranquillamente a predicare a Milano. Anzi, otteneva lo stato di rifugiato politico, grazie a una sentenza del Tar lombardo che lo metteva al riparo dall'estradizione: «l'appartenenza a un movimento religioso che si connoti per una radicale intransigenza ideologica non può di per sé sola costituire ragione di persecuzione politica», scrivevano i giudici del Tar. Poi, però, Abu Imad è stato condannato per terrorismo, ed è finito nel carcere di massima sicurezza di Benevento a scontare la pena. Lo stato di rifugiato gli è stato revocato. Ma nè lui nè la comunità di viale Jenner si sono arresi alla prospettiva della sua espulsione alla fine della pena. Anche perché la condanna per terrorismo non contemplava - in considerazione del ravvedimento, seppur tardivo, dell'imam - il rimpatrio forzato.


Così, man mano che si avvicinava la fine della pena di Abu Imad e la sua scarcerazione, hanno iniziato a muoversi i due fronti: la comunità islamica che premeva per un permesso di soggiorno, la questura di Milano che avrebbe visto con sollievo l'espulsione. Alla fine, ha vinto la questura.

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