Le donne a metà giornata si davano il cambio. Invece per i bambini, trascinati da una stazione all'altra della metropolitana a chiedere l'elemosina, la giornata non finiva mai: sette, otto ore, a cercare di impietosire i passanti, nel gelo delle stazioni, all'età in cui gli altri bambini milanesi sono all'asilo nido o alla scuola materna. «Li abbiamo visti diventare cianotici dal freddo», raccontano gli investigatori.
Due giorni fa, su decisione del pm Gianluca Prisco, la polizia locale decide che non si può più aspettare: le madri, due nomadi di origine rumena, vengono arrestate per maltrattamento di minori. I bambini vengono portati al riparo in comunità. E viene sancito un principio che parrebbe ovvio, se non fosse da sempre disatteso: «Ci sono persone che per una inveterata tradizione culturale ricorrono all'accattonaggio come mezzo unico di sostentamento. Ma non è tollerabile che si possano usare i bambini in questo modo». Parola di Piero Forno, procuratore aggiunto della Repubblica.
É una realtà sotto gli occhi di tutti: bambini piccoli, a volte lattanti, trascinati a fare il minghel, a chiedere l'elemosina. I «ghisa» che pattugliano il metrò hanno censito una decina di queste situazioni. Due di queste sono state ritenute talmente gravi da non poter rinviare l'intervento. Una ventottenne abitante in una baracca di via Peppino Impastato, al confine con San Donato, si temeva accanto tutto il giorno la figlia di sei mesi. Una ventiseienne, alloggio in una roulotte in zona Certosa, si portava dietro tre figli di sette, quattro e un anno, su e giù dai vagoni nelle stazioni centrali della linea rossa. Bilancio giornaliero della questua, intorno ai cento euro.
Finora comportamenti di questo genere venivano ignorati, o al massimo colpiti con una multa per accatonaggio.
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