«Le mie meraviglie: moda, design e ricette milanesi»

La stilista presenta un ciclo di serate dedicate al gusto nel suo Arabesque cafè, tra bijoux d'epoca e libri rari

Qual è il fil rouge che unisce la cultura del cibo alla ricerca estetica del bello in tutte le sue forme, dal design all'arte, dalla moda all'editoria? In una parola, lo stile. E lo stile qundo è autentico ha sempre a che fare con una storia individuale fatta di passioni, attaccamento alle radici, sguardi unici sul mondo. Una di queste storie la racconta Chichi Meroni, designer e milanese doc, il cui nome è legato a due spazi cult nel cuore di Milano: lo storico negozio «La Reverie» di Largo Treves e l'Arabesque di largo Augusto, vera «wunderkammer» dove la Meroni mescola le sue creazioni di moda ispirate agli anni '30 a pezzi unici come i bijoux d'epoca e libri rari e introvabili sulla fotografia, il cinema e la storia del fashion. Quest'anno, tra le stesse pareti dell'originale showroom è sorto l'Arabesque cafè, raffinato ristorante in stile newyorkese che incorpora una vera libreria; sugli scaffali ricercate edizioni, sulle arti e sul food, ormai fuori catalogo. L'atmosfera, dall'arredamento anni '50 agli accessori interamente disegnati da lei, è quella del caffè letterario old style, ma allo stesso tempo in linea con il gusto moderno delle contaminazioni. «Era la chicca che mancava» dice la designer che giovedi sera inaugurerà un ciclo di serate di degustazioni autunnali intitolate «C'era una volta a tavola» con menù dedicati alla tradizione milanese messi a punto dallo chef Flavio Milton D'Ambrosio. Parlare di tradizione meneghina parrebbe quasi antistorico rispetto alle tendenze culinarie contemporanee sempre più «global». E invece tutto torna rispetto allo stile di un'autrice che al mondo del cibo si era già affacciata con la pubblicazione di un raffinato libro intitolato appunto «C'era una volta a tavola», raccolta di ricette e immagini sui piatti milanesi della memoria. «In tutto ho raccontato sedici pranzi - dice - uno per ogni mese, più quelli delle grandi occasioni; il Natale, il Capodanno, San Valentino e il compleanno». Nel libro, come ai tavolini del suo salotto, si parla di tradizioni e stagionalità, un termine oggi tornato di moda. «In realtà appartiene alla storia delle nostre famiglie milanesi, quando si cucinava a casa e il desco aveva un valore speciale, quello della convivialità e dell'amore». Valori sempre più difficili da coltivare nelle grandi città dove il tempo è denaro e si preferisce piuttosto spenderlo al ristorante anche la domenica. «Proprio la domenica, quando ero bambina, era invece il giorno in cui la famiglia si riuniva attorno alla tavola per condividere un pranzo buono e amabile.

Quelle ricette, che mia madre appuntava su un quaderno, le ho conservate come un patrimonio da non perdere; ognuna di esse compare oggi sia nel mio libro sia ogni mese sulla carta dell'Arabesque cafè». Ovvero piatti che la tradizione voleva semplici ma dall'imprescindibile qualità delle materie prime, come il fagiano, il pesce d'acqua dolce, il vitello tonnato o il risotto con lo zafferano.

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