Milano si concede il "Luxus" di una vera sfilata di bellezza

A Palazzo Reale è di scena il fascino di ieri e di oggi tra gioielli, abiti e persino la gastronomia di Marchesi

Milano si concede il "Luxus" di una vera sfilata di bellezza

Riflessi di luci di antichi vetri, penne stilografiche, crinoline, scarpe-gioiello, argenterie, maschere veneziane, abiti fatti di luce, orologi e porcellane d'epoca, costumi di scena della Scala, arpe settecentesche, una tigre e un pitone impagliati e persino una tavolata imbandita con il risotto con la foglia d'oro dell'ineguagliabile Gualtiero Marchesi. Solo Stefano Zecchi, docente di Estetica, poteva trovare il fil rouge per tenere insieme tutto questo, in un viaggio immaginifico nel mondo del lusso di ieri e di oggi. Siamo al primo piano di Palazzo Reale, nell'appartamento dei Principi, che più adatto non può essere per Luxus. Lo stupore della bellezza (da oggi fino al 30 settembre), una mostra-spettacolo che racconta, per assonanze e rimandi, il valore della bellezza nelle nostre vite.

Scelta coraggiosa, in tempi in cui il lusso è ostentato e dunque involgarito o nascosto per una sorta di atavico senso di colpa. «Tutto dipende da come lo si vive», spiega Zecchi che, con la collaborazione della Fondazione Il Vittoriale, dei musei civici di Milano, della Fondazione Gualtiero Marchesi e di varie aziende, ha concepito una mostra che è una iniziazione estetica all'importanza del bello. «Lo stesso oggetto può essere esaltato e svilito, può conferire fascino o volgarità: è una questione di stile. Le critiche riguardano il modo con cui viene gestito, ma l'oggetto di lusso in sé ha una sorta di innocenza etica», commenta il filosofo e scrittore, già presidente dell'Accademia di Brera e assessore alla Cultura del Comune.

Se il confine tra luxus e kitsch è labile, Zecchi «si concede il lusso» di un allestimento volutamente stravagante. Niente pannelli a corredo delle 11 stanze che scandiscono la mostra, ma grandi libri aperti che riportano dotte citazioni (come la dannunziana «il vestimento di ogni alta speranza è la bellezza») a corredo dei tanti oggetti esposti: si comincia con la raffinatezza dei vetri di Venini, si passa a una riflessione sul lusso del potere, dove spiccano le brocche settecentesche del museo del Castello Sforzesco per entrare poi nella stanza del tesoro (gli occhi fanno fatica a staccarsi dai gioielli della Maison Roberto Coin). «Oggi il vero lusso è il tempo», chiosa Zecchi davanti agli orologi Damiani e al telescopio degli archivi della Scala. Non esiste lusso senza elegante vanità, suggeriscono le foto di Maurizio Galimberti, le scarpe-scultura di Giuseppe Zanotti, le celeberrime vestaglie di seta del Vate, i broccati della manifattura Rubelli e le maioliche antiche. Gli occhi fanno fatica a contenere tanta bellezza tutta insieme e forse questo stordimento dei sensi è voluto.

Si entra nel «Paese delle Meraviglie» tra i lavori dell'artista Kirsty Mitchell e poi in una stanza dedicata alle maschere veneziane che rimanda all'atmosfera di Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick mentre nella stanza della giostra si muovono, in un carosello di colori e tessuti, abiti sartoriali antichi e moderni provenienti dalla collezione di Palazzo Morando.

E il pitone che fa da immagine-guida della mostra? Lo troviamo alla fine, insieme a una tigre (entrambi in prestito dal museo di Storia Naturale), quale simbolo di «lussuria», eccesso e tentazioni dionisiache che il lusso porta con sé. Al visitatore non resta che accomodarsi simbolicamente alla tavolata imperiale dove, tra calici di Amarone, è servito il risotto a foglia d'oro inventato da Marchesi.

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