Martedì mattina, al Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano, ci siamo solo io e i commessi di sala. Ci muoviamo in quel bianco claustrofobico che fa da voluta, essenziale scenografia a «Io, Luca Vitone», un'antologica che ripercorre i trent'anni di carriera dell'artista genovese che molto lavorò a Milano prima di preferirla a Berlino. Che tipo di progetto sia quello al Pac e in altre due sedi: ai chiostri di Sant'Eustorgio e al Museo del '900 fino al 3 di dicembre lo si capisce appena si varca la soglia: entri e ti trovi davanti a un cartellone enorme, scritto nero su bianco, con l'elenco dei 959 aderenti alla loggia massonica P2. Non è l'unico segnale forte della mostra curata da Diego Sileo e Luca Lo Pinto: tutto il pavimento del museo è ricoperto di bianco in scala 1:1, quindi con indicati i centimetri di ogni lato delle sale, mentre le pareti paiono sporche. Lo sono: sono state ritinteggiate con un acquarello ottenuto dalla polvere raccolta in quegli spazi. Una bella metafora per descrivere l'arte contemporanea di oggi e il ruolo dei musei deputati ad ospitarla. Ché se questa precisa mostra è da salutare quale buona notizia dopo le collettive etniche, da Cuba all'Africa, un nome italiano contemporaneo che merita il Pac sembra sempre in attesa di un nuovo, definitivo corso. Da tanto, troppo tempo manca un comitato scientifico e una regia stabile (non può esserlo l'assessore né un funzionario) per uno spazio la cui missione, in assenza di un vero e proprio museo d'arte contemporanea in città, è quella di ospitare l'arte di oggi nelle sue varie declinazioni, dai nomi più noti e solidi sul mercato a quelli emergenti o votati alla ricerca. Uno spazio pronto ad accogliere il visitatore art-addicted, il collezionista esperto ma anche millennial curiosi. La mostra ora allestita centra l'obiettivo? Parzialmente. Luca Vitone è artista mai banale e l'operazione di dare ai visitatori una guida «autorale» sulla mostra, realizzata dallo scrittore Vincenzo Latronico, pare un primo, intelligente passo avanti verso una più efficace comunicazione dell'arte. Ma non è sufficiente. Per capire il lavoro dell'artista sui «monumenti», su quel groviglio, anzi su quello scarto che c'è tra memoria collettiva e memoria personale non può bastare una guida cartacea, pur se ben fatta. Forse ci vorrebbero più visite guidate ad hoc (come quelle in agenda sabato, con gli attori del teatro dell'Elfo Puccini) e strumenti nuovi, più intuitivi ed efficaci, per sedurre anche il neofita. Di riflessioni le opere concettuali di Vitone ne stimolano parecchie: mettendosi in gioco in prima persona, Luca Vitone «inscatola» il Pac a uso e consumo della sua visione de mondo, invitandoci nel suo «Ultimo viaggio» per ricordare l'avventura vissuta con la sua famiglia, da bambino, quando rimase in panne nella sabbia del deserto iraniano.
È certamente la memoria di una vacanza speciale, che il regime khomeinista avrebbe reso subito dopo impossibile, ma pare anche metafora perfetta dello stato dell'arte contemporanea in Italia, con la sua smania di andare dal pubblico, e la sabbia sotto le ruote a rendere lo scatto ancora difficile.
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