Con lui, a Quarto Oggiaro, tra il 27 e il 30 ottobre 2013, finì un'epoca «leggendaria», quella dei delitti di mala.
E mercoledì a 56 anni, all'ospedale di di Vigevano è morto anche lui, Antonino Benfante, per tutti Nino Palermo, una vita dentro e fuori il carcere, ma condannato all'ergastolo con isolamento diurno nel 2018 per l'omicidio del boss Emanuele Tatone, 52enne erede di una delle famiglie storiche del quartiere e del suo luogotenente-autista di 57 anni Paolo Simone (in realtà «colpevole» solo di essere un testimone oculare e quindi «costretto» a morire insieme al suo capo) finiti a colpi di pistola negli orti di via Lessona. Tre giorni dopo Tonino Palermo fece fare la stessa fine all'altro Tatone, Pasquale, fratello maggiore di Emanuele (aveva 54 anni) stavolta sparandogli due colpi di fucile in faccia in via Pascarella.
Com'è morto Benfante? Dal carcere di Vigevano, dove scontava l'ergastolo, emerge che due settimane fa aveva tentato di togliersi la vita stringendosi attorno al collo la maglia che indossava. Non ce l'ha fatta, ma è caduto sbattendo la testa in maniera violenta. Portato in ospedale non si è più ripreso conoscenza. E l'altro ieri è morto.
In quei giorni del 2013 in cui Benfante mise a segno il triplice omicidio a Quarto Oggiaro sembrò che le guerre tra clan e tutta una serie di rancori decennali legati a filo doppio a interessi cospicui derivati dal traffico di stupefacenti avessero ripreso improvvisamente vita.
Quella di Benfante venne vista dai giudici come una vendetta. In breve: Nino Palermo aveva affidato una partita di droga a Lele Tatone prima di finire in carcere. Uscito dopo un mese lo stupefacente era sparito. E Nino non aveva perdonato.
Già una volta, nel 1994, Benfante aveva tentato di uccidere Pasquale Tatone: accusato di aver fatto parte del gruppo di fuoco che tese un agguato al boss (ma lui allora riuscì a sfuggire alla morte e rimase solo ferito), Nino fu solo indagato per tentato omicidio. Legato al clan della famiglia Crisafulli Benfante all'epoca se la passava bene e a Quarto Oggiaro era considerato anche lui una specie di boss. A metterlo ko, come molti altri, fu la celeberrima operazione «Terra bruciata», sempre nel 1994.
Uscito di galera nel 2012, gli venne concesso l'affidamento in prova ai servizi sociali.
Nell'estate del 2013, però, smette di comportarsi bene e aggancia la famiglia Tatone, «fingendo» di entrare in confidenza con i fratelli che ucciderà a fine ottobre. Era tutto premeditato? Impossibile saperlo: Benfante non ha mai parlato. E adesso i suoi segreti se ne sono andati con lui.
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