«È un mezzo per allargare la conoscenza di altri teatri. Un altro modo di incontrare il bel canto. Ma l'importante è saper separare le cose: l'opera al cinema è bello e nonostante i limiti può essere interessante. Ma il teatro, andare a teatro è sicuramente vita». Parole del presidente degli Amici del Loggione del Teatro alla Scala, Gino Vezzini, che interpellato interviene in occasione dello spettacolo «Idomeneo» di Mozart che oggi verrà dato, in diretta e in alta definizione, dal Metropolitan di New York (dalle 19,30 alle 23.30) in molte sale cinematografiche italiane, a Milano al Plinius Multisala, all'Uci Cinemas di viale Sarca 336 e al Cinema Rosetum di via Pisanello 1.
Che spettacolo «l'Idomeneo», «dramma per musica in tre atti con un libretto in lingua italiana scritto dall'abate Giambattista Varesco e «musicato» da Amadeus nel 1780: «Dopo la caduta di Troia, Idomeneo, re di Creta, torna in patria dal figlio Idamante, ma la sua flotta in prossimità dell'isola è colta da tempesta...». Sentire e vedere le opere al cinema è la stessa cosa?
Il dibattito è sempre aperto, al di là dell'avvento dei dvd che da anni vengono utilizzati per fruizioni domestiche di concerti, lirica e spettacoli di tutti i generi: ogni volta che un lavoro lirico approda nelle sale con schermo, i partiti pro e contro tornano a farsi sentire. C'è chi la lirica se la «gusta» in tutti i modi, tra questi soprattutto le nuove generazioni che non disdegnano affatto «le pièce all'aperto». Poi, a parte quelli di mezzo - che va bene sempre - i difensori della tradizione, che considerando l'«asportazione» dell'opera fuori dal teatro un sacrilegio. O quasi.
«La versione cinematografica - spiega Vezzini - va molto bene negli Usa. Là le distanze sono molto grandi e quindi le possibilità di presenziare a un determinato spettacolo si riducono di molto». Dunque il piccolo e il grande schermo diventano mezzi per poter rimediare. Chiaramente, poi, occorre mettere sul conto le differenze che si vanno a creare. Palcoscenico e cinema. «Si producono linguaggi diversi - continua -. Ma qualche volta i registi non ne tengono conto». Anzi c'è da dire che sul piano della consapevolezza delle differenze tra un lavoro dato sul palco e un lavoro proiettato, «la strada è ancora lunga».
Detto in soldoni, sul piano acustico per esempio: stare a teatro significa vivere gli effetti realistici della musica, dei suoni e delle voci; «sul sonoro che si ascolta invece al cinema è intervenuto sicuramente una regia». Lo scarto tra la prima «realtà» e la seconda riguarda, e parecchio, anche l'immagine. Dalle telecamere possono arrivare visioni ravvicinate, personaggi scrutati da vicino, a volte con risultati non sempre riusciti, «talvolta persino ridicoli», per dirne una, quando il trucco presenta imperfezioni.
«Insomma - aggiunge il presidente - quello della ripresa è un racconto personalizzato di chi gira. Chi invece è in platea con il suo cannocchiale ha la possibilità e la libertà di godersi il palcoscenico nella sua integrità e di ammirare i particolari che crede».
I cantanti, l'orchestra, la scenografia in tutte le sue parti.«Ciò non toglie comunque - conclude - che il cinema possa garantire una certa spettacolarità». Che ha avvicinato e avvicina all'opera altri pubblici, quelli che magari non vanno mai nei grandi teatri lirici.
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